Dopo che le urne
elettorali sono state dissigillate anche in Sicilia, il voto amministrativo è
passato al vaglio di politici, commentatori, analisti.
Gli addetti ai
lavori si infervorano in commenti che esaltano chi avrebbe vinto e, per contro,
gettano la croce su chi avrebbe perso.
Personalmente
preferisco usare il condizionale perché, a differenza dei campi di calcio, dai
quali ogni squadra esce con la certezza di un risultato sia esso 1, x o 2, nel
caso delle elezioni, soprattutto amministrative, a chiunque è consentito
lasciarsi andare a fantasiose letture ed interpretazioni.
Già l’eventualità di
un primo e secondo turno genera, di per sé, dinamiche di voto anche molto
diverse a soli quindici giorni di distanza.
Al primo turno,
infatti, l’elettore vota, di solito, il candidato che conosce, di cui ha
sentito parlare, o che, comunque, è stato designato dalla forza politica nella
quale l’elettore si riconosce od alla quale si sente idealmente vicino.
In caso, invece, di secondo
turno, al quale si arriva quando in ballottaggio ci sono solo due candidature, le
dinamiche di voto sono più incerte ed imprevedibili.
E’ provato, ad
esempio, che nel secondo turno aumenti l’assenteismo e, di conseguenza, possa
variare sensibilmente la composizione del corpo elettorale che si reca alle urne, in funzione di età, sesso, scolarità,
professione, orientamento politico.
Molti elettori, poi,
anche se delusi dal risultato del primo turno, avvertono come dovere civico quello
di recarsi comunque al seggio e perciò, tappandosi il naso, finiscono per
votare il candidato che appare loro come “il
minore tra i due mali”.
Ma, sull’esito del
secondo turno spesso può incidere ed essere determinante un fattore assolutamente
imponderabile, e cioè l’esistenza, dichiarata o sottintesa, dei cosiddetti
apparentamenti in base ai quali le liste, escluse al primo turno, possono dare
il loro sostegno a questo o quel candidato.
Può accadere, così,
che, il ballottaggio sia vinto da un candidato votato, in parte, da un
elettorato anche del tutto antitetico alle sue posizioni politiche.
Domanda: a questo
punto un sindaco eletto al ballottaggio può contare su una accettazione popolare
identica a quella di un sindaco eletto al primo turno?
Da un punto di vista rigorosamente
quantitativo la risposta non può essere che affermativa.
È più che legittimo,
invece, nutrire molte riserve sotto il profilo del consenso ideologico e
programmatico.
Infatti, il candidato
eletto al primo turno, che ha ottenuto il voto dalla maggioranza assoluta degli
elettori, gestirà il suo mandato con la consapevolezza che la maggior parte dei
cittadini lo ha scelto con convinzione.
Se conseguita al
ballottaggio, invece, una elezione potrebbe essere il risultato anche di scelte
non convinte, almeno di una parte dell’elettorato, se non di apparentamenti del
tutto strumentali
A mo’ di esempio,
proviamo ad esaminare due dei risultati, scaturiti dai ballottaggi di domenica,
che più hanno vivacizzati i dibattiti di questi giorni.
Nel rigoroso rispetto
dell’ordine alfabetico, osserviamo per primo il risultato del Comune di Livorno,
da sempre feudo incontrastato della sinistra.
Al primo turno, degli
85.286 voti validi il candidato del centrosinistra, Marco Ruggeri se ne era
aggiudicati 34.096 (= 39,97%), contro i 16.216 ottenuti dal primo dei suoi
antagonisti, cioè Filippo Nogarin, candidato del M5S.
Dopo soli quindici
giorni, il ballottaggio ha riservato un esito imprevedibile.
Infatti, con una
affluenza ridottasi di ben 17.628 elettori, Filippo Nogarin è risultato eletto
sindaco con 35.899 voti, portando a casa, cioè, 19.683 voti in più di quelli che
aveva ottenuti al primo turno.
Da dove sono saltati
fuori questi 19.683 voti ?
Di certo non si è
trattato di cittadini convertiti al grillismo, nelle ultime ore, ammirando i
bastioni di Fortezza Vecchia, ma piuttosto di elettori che, dopo aver sostenuti
al primo turno schieramenti politici (di
destra, di centro e di sinistra) anche idealmente molto lontani dal M5S, al ballottaggio, per ragioni diverse e sconosciute, hanno deciso di “turarsi il naso”.
Di certo il consenso
manifestato con convinzione al candidato del M5S va identificato nei 16.216 voti,
del primo turno, mentre per i voti ottenuti in più al ballottaggio sarebbe più sensato
parlare di “voti in prestito od in transito”.
Senza se e senza ma,
invece, ad uscire sconfitto è stato il candidato della sinistra che, contando
su un vantaggio di 17.880 voti al primo turno, si è fatto riprendere e superare
al ballottaggio.
Più o meno le stesse
dinamiche si sono ripetute a Pavia, dove il sindaco uscente, berlusconiano
DOC, era stato indicato da un sondaggio come il “sindaco più amato d’Italia”.
Un giudizio che
sembrava trovare conferma anche al primo turno, quando Alessandro Cattaneo,
candidato di Forza Italia, otteneva 18.350 dei 39.307 voti validi, contro i
14.326 voti del suo antagonista Massimo Depaoli, candidato del centrosinistra.
Al secondo turno,
ridottosi a 32.128 il numero degli elettori per effetto dell’astensionismo, dalle urne è uscito un verdetto inatteso.
Massimo Depaoli ha
recuperati 2.742 “voti in prestito od in
transito” con i quali ha agguantato il primo posto contando su 17.068 consensi, mentre Alessandro Cattaneo ha persi per strada, in
quindici giorni, 3.290 sostenitori.
È probabile, ad
esempio, che dopo il primo turno, dando per certo il successo del loro
candidato, molti elettori di centrodestra abbiano disertate le urne, mentre gli
elettori delle altre liste sia di sinistra che del M5S, uscite al primo turno,
abbiano fatto confluire i loro voti su Massimo Depaoli.
Si potrebbero
analizzare gli esiti di molti altri ballottaggi per rendersi conto di quanto
possa essere falso e deformante un secondo turno in cui a dare le carte non
siano gli elettori ma le camarille e gli inciuci che tutte
le forze politiche, per meschini intrallazzi, mettono in piedi, all’insaputa ed
a spese degli elettori.
Tanto, poi, se l’amministrazione eletta si dimostrerà
inadeguata, a patire le sue incapacità e carenze saranno sempre e solo i
cittadini, e perciò … chi se frega !
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