Come è nell’ordine
naturale delle cose, la Magistratura continua a lavorare anche quando, fuori dai
palazzi di giustizia, infuriano le campagne elettorali.
In queste settimane,
poi, per volgarità, villania, menzogne, insulti, i toni della campagna
elettorale hanno più volte lambito il codice penale.
Negli ultimi venti
anni, però, gli italiani si sono così assuefatti al mortificante imbarbarimento
della politica e dei suoi protagonisti, da non sapere più distinguere tra ciò
che è giusto ed etico e ciò che, invece, in un paese civile e democratico, dovrebbe
essere considerato illecito, menzognero, indecente, disonesto.
Ad esempio, nessuno
sembra percepire quanta ipocrisia ci sia nell’insinuazione “giustizia ad orologeria”.
Una accusa che viene
rivolta ai provvedimenti della Magistratura quando ad essere colpito sia uno
dei farabutti che gremiscono l’habitat politico.
Una insinuazione farisea
e ridicola perché tra elezioni regionali, provinciali, comunali, politiche ed
europee, il Paese vive uno stato permanente di campagna elettorale, per cui è impossibile
pretendere che il corso della giustizia non debba incrociarsi con un ciclo elettorale.
Sarebbe più pratico
e forse anche più semplice, invece, se i partiti, all’ingresso delle
loro sedi, adottassero efficaci tornelli antidelinquenza in modo da prevenire che
i farabutti diventino loro esponenti e, prima o poi, finiscano perseguiti dalla
Magistratura.
Che l’insinuazione “giustizia ad orologeria” sia una scemenza
così assurda da esaltare la scarsa intelligenza di chi la propone lo dimostrano
proprio gli accadimenti di queste ore.
A Genova, per
disposizione della Magistratura genovese, la Guardia di Finanza ha eseguite
sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti, tra gli altri, dell’ex
presidente e dell’ex amministratore delegato di CARIGE, accusati di associazione
a delinquere, truffa e riciclaggio ai danni della stessa banca della quale erano
al vertice.
Nelle stesse ore, per
disposizione della Procura di Milano sono state eseguite perquisizioni negli
uffici di Bologna del gruppo assicurativo UnipolSai, il cui amministratore delegato,
insieme ad altri manager, è indagato per il reato di aggiotaggio.
Insomma, attività investigatrici
e giudiziarie del tutto normali, naturale conseguenza di indagini intraprese da
tempo.
Quindi, avrebbe
dovuto essere considerato del tutto normale che un Pubblico Ministero, in un’aula
del Tribunale di Milano, svolgendo la sua requisitoria proponesse le richieste di pene per gli imputati.
Ed invece no !
Infatti, in quest’ultimo
caso, è esplosa l’insinuazione di “giustizia
ad orologeria” anche se imputati non erano politici di questo o quel
partito.
Perché mai, allora,
l’inconsulta reazione ?
Semplicemente perché
tra gli imputati c’erano un erede ed alcuni famigli del Feudatario di Arcore.
Nel processo Mediatrade
per frode fiscale, ad essere imputati, insieme a PierSilvio Berlusconi, sono
Fedele Confalonieri, Frank Agrama, ex manager Fininvest, un banchiere e due
cittadine di Hong-Kong.
È bastato che il
Pubblico Ministero osasse soltanto toccare eredi e famigli del Feudatario di Arcore
perché il solito gruppuscolo di galoppini, foraggiato da Forza Italia e capeggiato da Renato Brunetta e Paolo Romani, insorgesse
con le monocordi tiritere: “persecuzione
giudiziaria” e “giustizia ad
orologeria”.
Finalmente, grazie a Brunetta e Romani, oggi gli italiani si possono rendere conto che i precetti forzisti vorrebbero “intoccabili” non solo i politicanti gaglioffi e pregiudicati, ma
anche i manigoldi loro parenti e sodali.
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