Quando,
in Italia, la politica mette in scena le sue tragicommedie, a farne le spese
sono sempre i cittadini, o per meglio dire gli italiani che pagano le tasse.
Il
caso più recente potrebbe essere pubblicizzato sulle locandine con il titolo “salvare l’italianità di Alitalia”.
Un
titolo truffaldino, coniato da Silvio Berlusconi nel 2008.
Per
meglio rendersi conto, tuttavia, della fregatura che ha significato, e continua
a significare ancora oggi per gli italiani la traversia Alitalia, occorre
risalire indietro di qualche anno.
Di
proprietà dell’IRI, cioè dello Stato italiano, Alitalia è rimasta, dopo il
2003, l’unica compagnia aerea europea a controllo statale.
Negli
anni ’90, a dispetto dei circa trenta milioni di passeggeri annui, la compagnia
di bandiera ha realizzati risultati che, con eufemismo, si possono definire insoddisfacenti
sia sotto il profilo economico che finanziario.
Le
cause diverse sono individuabili in scelte manageriali errate, in organici spropositati,
in un pesante indebitamento.
Nel
2001, su una gestione già compromessa si abbatté la grave crisi di tutte le
linee aeree in seguito agli attentati al World Trade Center di New York.
Alitalia,
però, a differenza delle altre compagnie aeree, è stata incapace di superare la
crisi, andando di male in peggio come hanno confermato i dati della Thomson Financial, pubblicati da Il Sole 24 ore, che indicavano in €
10,15 il valore di una azione Alitalia, nel 2001, ed in € 1,57 il suo valore
nel 2006.
La
situazione, sempre più negativa, nel 2007 indusse il Governo Prodi a contattare
Air France-KLM per verificarne l’interesse
a rilevare Alitalia, a condizione che ad Alitalia fossero garantiti: un ruolo
autonomo nella gestione delle rotte, l’identità italiana con relativi marchio,
logo e livrea.
Air France-KLM si dichiarò interessata e propose la sua offerta di 1,7
miliardi di euro per l’acquisizione della compagnia, la riduzione della flotta
da 172 a 149 aeromobili, a condizione, però, che lo Stato italiano si accollasse la cassa
integrazione di 2.100 unità in esubero.
L’offerta
fu ritenuta accettabile dal governo Prodi che, però, nel gennaio 2008, fu
costretto alle dimissioni dopo essere stato sfiduciato in Senato.
Si
aprì, così, la campagna elettorale in vista delle elezioni del 13 e 14 aprile
2008.
Incoraggiato
dai sondaggi, che lo indicavano vincitore con ampio margine, Berlusconi fece di
Alitalia il suo cavallo di battaglia elettorale, bocciandone la vendita ad Air France-KLM.
Preso
atto della contrarietà da parte di colui che avrebbe vinte le elezioni, Air France-KLM ritenne opportuno
ritirare la sua offerta per non entrare in rotta di collisione con il futuro
governo.
Come
previsto dai sondaggi, Berlusconi vinse le elezioni.
Per
“salvare l’italianità di Alitalia”, le
casse dello Stato furono subito aperte per concedere alla compagnia di
bandiera un prestito di 300 milioni, convertito poi in patrimonio su pressioni
della Commissione Europea.
Nonostante,
però, questo ennesimo intervento da parte dello Stato, Alitalia nell’agosto
2008 chiese la dichiarazione d’insolvenza, al Tribunale di Roma, e l’amministrazione
straordinaria.
Nei
mesi precedenti, comunque, il pifferaio Berlusconi aveva tirato fuori dal
cilindro la sua idea geniale per salvare Alitalia, affidandone lo studio ad Intesa San Paolo.
Fu
partorito, così, il “Piano Fenice”, un’autentica
fregatura per i contribuenti italiani.
Infatti,
a fronte del versamento effettivo di soli 300 milioni, furono ceduti il marchio
e la “parte sana e migliore” di
Alitalia ad una pattuglia di “imprenditori
patrioti”, come li definì Berlusconi.
Facevano
parte di quella “coraggiosa” pattuglia i soliti noti: Riva, Ligresti, Tronchetti
Provera, Marcegaglia, Benetton, Caltagirone, Colannino, Intesa San Paolo (di cui era amministratore delegato Corrado
Passera, poi ministro del Governo Monti).
Invece,
in una “bad company” furono scaricate
tutte le passività di Alitalia, oltre a 7.000 esuberi, ai quali lo Stato, a spese dei contribuenti, garantì la cassa integrazione per 7 anni.
In
pratica, con la truffaldina idea della “bad
company”, Berlusconi ha rovesciato sulle casse dello Stato e, quindi, sugli
italiani una stangata di circa 4 miliardi.
Una
bella mazzata se confrontata con la proposta di Air France-KLM !
Il
dramma grottesco, però, non finisce così.
Infatti,
la pattuglia di “imprenditori patrioti” è riuscita, in pochi anni, a dissestare
anche la “parte sana e migliore” di
Alitalia, che Berlusconi aveva concessa loro per un tozzo di pane.
Così,
dopo 5 anni, il governo, questa volta guidato da Letta, ripropone la tiritera
della italianità della compagnia di bandiera, e vuole scaricare ancora una volta sulle
spalle degli italiani nuovi costi per tenere in vita una azienda insanabile.
Per riassumere:
da Berlusconi a Letta, passando per la pattuglia di “patrioti”, una fregatura
dietro l’altra per i contribuenti.
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