domenica 13 ottobre 2013

Alitalia, un dramma grottesco per gli italiani

Quando, in Italia, la politica mette in scena le sue tragicommedie, a farne le spese sono sempre i cittadini, o per meglio dire gli italiani che pagano le tasse.
Il caso più recente potrebbe essere pubblicizzato sulle locandine con il titolo “salvare l’italianità di Alitalia”.
Un titolo truffaldino, coniato da Silvio Berlusconi nel 2008.
Per meglio rendersi conto, tuttavia, della fregatura che ha significato, e continua a significare ancora oggi per gli italiani la traversia Alitalia, occorre risalire indietro di qualche anno.
Di proprietà dell’IRI, cioè dello Stato italiano, Alitalia è rimasta, dopo il 2003, l’unica compagnia aerea europea a controllo statale.
Negli anni ’90, a dispetto dei circa trenta milioni di passeggeri annui, la compagnia di bandiera ha realizzati risultati che, con eufemismo, si possono definire insoddisfacenti sia sotto il profilo economico che finanziario.
Le cause diverse sono individuabili in scelte manageriali errate, in organici spropositati, in un pesante indebitamento.
Nel 2001, su una gestione già compromessa si abbatté la grave crisi di tutte le linee aeree in seguito agli attentati al World Trade Center di New York.
Alitalia, però, a differenza delle altre compagnie aeree, è stata incapace di superare la crisi, andando di male in peggio come hanno confermato i dati della Thomson Financial, pubblicati da Il Sole 24 ore, che indicavano in € 10,15 il valore di una azione Alitalia, nel 2001, ed in € 1,57 il suo valore nel 2006.      
La situazione, sempre più negativa, nel 2007 indusse il Governo Prodi a contattare Air France-KLM per verificarne l’interesse a rilevare Alitalia, a condizione che ad Alitalia fossero garantiti: un ruolo autonomo nella gestione delle rotte, l’identità italiana con relativi marchio, logo e livrea.
Air France-KLM si dichiarò interessata e propose la sua offerta di 1,7 miliardi di euro per l’acquisizione della compagnia, la riduzione della flotta da 172 a 149 aeromobili, a condizione, però, che lo Stato italiano si accollasse la cassa integrazione di 2.100 unità in esubero.
L’offerta fu ritenuta accettabile dal governo Prodi che, però, nel gennaio 2008, fu costretto alle dimissioni dopo essere stato sfiduciato in Senato.
Si aprì, così, la campagna elettorale in vista delle elezioni del 13 e 14 aprile 2008.
Incoraggiato dai sondaggi, che lo indicavano vincitore con ampio margine, Berlusconi fece di Alitalia il suo cavallo di battaglia elettorale, bocciandone la vendita ad Air France-KLM.
Preso atto della contrarietà da parte di colui che avrebbe vinte le elezioni, Air France-KLM ritenne opportuno ritirare la sua offerta per non entrare in rotta di collisione con il futuro governo.
Come previsto dai sondaggi, Berlusconi vinse le elezioni.
Per “salvare l’italianità di Alitalia”, le casse dello Stato furono subito aperte per concedere alla compagnia di bandiera un prestito di 300 milioni, convertito poi in patrimonio su pressioni della Commissione Europea.
Nonostante, però, questo ennesimo intervento da parte dello Stato, Alitalia nell’agosto 2008 chiese la dichiarazione d’insolvenza, al Tribunale di Roma, e l’amministrazione straordinaria.
Nei mesi precedenti, comunque, il pifferaio Berlusconi aveva tirato fuori dal cilindro la sua idea geniale per salvare Alitalia, affidandone lo studio ad Intesa San Paolo.
Fu partorito, così, il “Piano Fenice”, un’autentica fregatura per i contribuenti italiani.
Infatti, a fronte del versamento effettivo di soli 300 milioni, furono ceduti il marchio e la “parte sana e migliore” di Alitalia ad una pattuglia di “imprenditori patrioti”, come li definì Berlusconi.
Facevano parte di quella “coraggiosa” pattuglia i soliti noti: Riva, Ligresti, Tronchetti Provera, Marcegaglia, Benetton, Caltagirone, Colannino, Intesa San Paolo (di cui era amministratore delegato Corrado Passera, poi ministro del Governo Monti).
Invece, in una “bad company” furono scaricate tutte le passività di Alitalia, oltre a 7.000 esuberi, ai quali lo Stato, a spese dei contribuenti, garantì la cassa integrazione per 7 anni.
In pratica, con la truffaldina idea della “bad company”, Berlusconi ha rovesciato sulle casse dello Stato e, quindi, sugli italiani una stangata di circa 4 miliardi.
Una bella mazzata se confrontata con la proposta di Air France-KLM !
Il dramma grottesco, però, non finisce così.
Infatti, la pattuglia di “imprenditori patrioti” è riuscita, in pochi anni, a dissestare anche la “parte sana e migliore” di Alitalia, che Berlusconi aveva concessa loro per un tozzo di pane.
Così, dopo 5 anni, il governo, questa volta guidato da Letta, ripropone la tiritera della italianità della compagnia di bandiera, e vuole scaricare ancora una volta sulle spalle degli italiani nuovi costi per tenere in vita una azienda insanabile.
Per riassumere: da Berlusconi a Letta, passando per la pattuglia di “patrioti”, una fregatura dietro l’altra per i contribuenti.

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