mercoledì 9 ottobre 2013

Condono ed amnistia non sono la soluzione

L’annunciato messaggio del Capo dello Stato, sulle difficoltà carcerarie, è arrivato in Parlamento letto nello stesso momento, al Senato ed alla Camera, dai Presidenti Grasso e Boldrini.
Giorgio Napolitano ne aveva già anticipato l’invio dopo la visita al carcere napoletano di Poggioreale.
Voglio sperare che il messaggio, ma soprattutto i suoi contenuti siano stati ispirati, al Presidente della Repubblica, dalla diretta percezione delle avvilenti condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti, e non dal desiderio di compiacere un ex presidente del consiglio, oggi pregiudicato.
Ciò premesso, mi sembra di riscontrare, nel messaggio, la assoluta assenza di una idea risolutrice del sovraffollamento carcerario, per il quale l’Italia è stata ammonita dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Napolitano, dopo aver accennato alla riforma della giustizia, nel suo messaggio invita il Parlamento a prendere in esame “il combinato disposto di amnistia ed indulto” per “favorire una significativa riduzione della popolazione carceraria”.
Un approccio ancora una volta miope.
La solita toppa all’italiana per rabberciare, alla meno peggio, una situazione, che si è incancrenita nel tempo per il disinteresse e l’incuria della classe politica.
Napolitano non dovrebbe aver dimenticato, per esempio, che due mesi dopo essersi insediato al Quirinale per il suo primo settennato, il Parlamento, il 31 luglio 2006, approvò un indulto con l’intento di mettere una pezza al sovraffollamento delle carceri che, già allora, era vergognoso.
Del provvedimento di clemenza ne usufruirono circa 25.000 detenuti, il 10% dei quali, però, ritornò in carcere, nei mesi successivi dopo aver commessi nuovi reati.
La condizione carceraria migliorò per qualche mese, forse un anno, poi ritornò a farsi critica.
Dopo sette anni il Capo dello Stato chiede al Parlamento di mettere, con l’indulto e/o con l’amnistia, una nuova toppa che, come le precedenti, non potrà cancellare definitivamente l’indegna situazione delle carceri italiane.
Fino a che la classe politica non avrà la capacità e la volontà di affrontare il problema con una progettualità di più ampio respiro e di lungo termine, nel futuro del nostro Paese ci saranno nuove sentenze della Corte di Strasburgo, a cui seguiranno nuovi provvedimenti di clemenza.
Una progettualità che contempli una riforma della giustizia ed una revisione dei codici, penale e di procedura penale, con l’obiettivo di rendere più spediti i processi perché sia possibile giungere a sentenza in tempi ragionevoli.
Una progettualità che includa, tra l’altro, la costruzione di nuovi istituti di pena, magari convertendo in edifici penitenziari alcune di quelle opere, finanziate da risorse pubbliche, che, incompiute da anni, sono diventate cattedrali nel deserto destinate al degrado del tempo.
Una progettualità, ad esempio, che preveda la depenalizzazione dei reati minori, oppure che eviti il rientro in cella, ogni sera, dei detenuti che godono del regime di “semilibertà”, per il quale vivono ed operano ogni giorno fuori dal carcere, anche in comunità di servizio.
Certo, si tratterebbe di affrontare un percorso articolato, complesso e di non breve durata, senza il quale, però, il Paese rischierebbe di dover fronteggiare una situazione divenuta grave ed ingestibile.
Voltando indietro lo sguardo all’indifferenza ed alla indolenza degli ultimi decenni è lecito domandarsi, però: abbiamo, oggi, un governo ed una classe politica interessata ed in grado di affrontare un tema di questa complessità?

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