L’annunciato
messaggio del Capo dello Stato, sulle difficoltà carcerarie, è arrivato in
Parlamento letto nello stesso momento, al Senato ed alla Camera, dai Presidenti
Grasso e Boldrini.
Giorgio
Napolitano ne aveva già anticipato l’invio dopo la visita al carcere napoletano
di Poggioreale.
Voglio
sperare che il messaggio, ma soprattutto i suoi contenuti siano stati ispirati,
al Presidente della Repubblica, dalla diretta percezione delle avvilenti
condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti, e non dal desiderio di
compiacere un ex presidente del consiglio, oggi pregiudicato.
Ciò
premesso, mi sembra di riscontrare, nel messaggio, la assoluta assenza di una idea
risolutrice del sovraffollamento carcerario, per il quale l’Italia è stata ammonita
dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Napolitano,
dopo aver accennato alla riforma della giustizia, nel suo messaggio invita il
Parlamento a prendere in esame “il
combinato disposto di amnistia ed indulto” per “favorire una significativa riduzione della popolazione carceraria”.
Un
approccio ancora una volta miope.
La
solita toppa all’italiana per rabberciare, alla meno peggio, una situazione, che
si è incancrenita nel tempo per il disinteresse e l’incuria della classe
politica.
Napolitano
non dovrebbe aver dimenticato, per esempio, che due mesi dopo essersi insediato
al Quirinale per il suo primo settennato, il Parlamento, il 31 luglio 2006,
approvò un indulto con l’intento di mettere una pezza al sovraffollamento delle
carceri che, già allora, era vergognoso.
Del
provvedimento di clemenza ne usufruirono circa 25.000 detenuti, il 10% dei
quali, però, ritornò in carcere, nei mesi successivi dopo aver commessi nuovi
reati.
La
condizione carceraria migliorò per qualche mese, forse un anno, poi ritornò a
farsi critica.
Dopo
sette anni il Capo dello Stato chiede al Parlamento di mettere, con l’indulto
e/o con l’amnistia, una nuova toppa che, come le precedenti, non potrà cancellare
definitivamente l’indegna situazione delle carceri italiane.
Fino
a che la classe politica non avrà la capacità e la volontà di affrontare il
problema con una progettualità di più ampio respiro e di lungo termine, nel
futuro del nostro Paese ci saranno nuove sentenze della Corte di Strasburgo, a
cui seguiranno nuovi provvedimenti di clemenza.
Una
progettualità che contempli una riforma della giustizia ed una revisione dei
codici, penale e di procedura penale, con l’obiettivo di rendere più spediti i
processi perché sia possibile giungere a sentenza in tempi ragionevoli.
Una
progettualità che includa, tra l’altro, la costruzione di nuovi istituti di
pena, magari convertendo in edifici penitenziari alcune di quelle opere,
finanziate da risorse pubbliche, che, incompiute da anni, sono diventate
cattedrali nel deserto destinate al degrado del tempo.
Una
progettualità, ad esempio, che preveda la depenalizzazione dei reati minori,
oppure che eviti il rientro in cella, ogni sera, dei detenuti che godono del
regime di “semilibertà”, per il quale vivono ed operano ogni giorno fuori dal
carcere, anche in comunità di servizio.
Certo,
si tratterebbe di affrontare un percorso articolato, complesso e di non breve
durata, senza il quale, però, il Paese rischierebbe di dover fronteggiare una
situazione divenuta grave ed ingestibile.
Voltando
indietro lo sguardo all’indifferenza ed alla indolenza degli ultimi decenni è lecito
domandarsi, però: abbiamo, oggi, un governo ed una classe politica interessata
ed in grado di affrontare un tema di questa complessità?
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