“Ogni membro del Parlamento rappresenta
la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, così recita l’art. 67 della Carta Costituzionale.
Si
tratta di un principio, adottato nella generalità delle democrazie
rappresentative, le cui origini risalgono al 1774, cioè a quando Edmund Burke,
rivolgendosi ai suoi elettori, affermò: “Il
Parlamento non è un congresso di agenti o avvocati di opposti interessi, ma è
un’assemblea deliberante con un solo interesse, il bene generale”.
Per
essere sincero nutro seri dubbi che tutti i nostri parlamentari si ispirino
alle parole di Edmund Burke, mentre credo, piuttosto, che molti siano impegnati nel tutelare
interessi particolari.
In
realtà, quando i Padri costituenti scrissero l’art. 67, era loro intenzione
garantire a tutti i parlamentari la libertà di espressione non vincolandoli, quindi, ad
un mandato imperativo, né verso il loro partito né verso il loro elettorato.
Però,
ogni parlamentare nel momento di essere eletto assume, nei confronti dei propri
elettori, un impegno democratico che è la responsabilità politica, che manifesta con la trasparenza della sua condotta e delle sue decisioni.
Ne
consegue, perciò, che ogni cittadino, depositando la scheda nell’urna
elettorale, acquisisce di fatto il diritto democratico di seguire e conoscere l’operato
dei suoi rappresentanti, per valutarne la consonanza con i propri ideali e con
le proprie aspettative.
Purtroppo,
invece, molte volte i parlamentari, barricandosi dietro i regolamenti di
Camera e Senato, si sottraggono al dovere di trasparenza, impedendo così agli
elettori di essere informati sul loro modo di agire.
È
il caso, ad esempio, del ricorso al voto segreto, un artificio antidemocratico
che, non solo nega all’elettore il diritto di conoscere, ma favorisce la messa
in atto di macchinazioni, intese ed inciuci che, fatti alla luce del sole, sarebbero
disapprovati e condannati dall'opinione pubblica.
In
questi giorni l’obbrobrio del voto segreto è tornato ad accendere gli animi a
proposito del voto che l’Aula del Senato sarà chiamata ad esprimere sulla decadenza
da senatore di Berlusconi.
Nel
manifestare, con veemenza, la loro contrarietà al voto palese si sono prodigati
e distinti il PdL e Scelta Civica, invocando un supposto, anche se contestato rispetto del
regolamento.
Che
i valletti del signore di Arcore si aggrappino al voto segreto, nella speranza
che la febbrile campagna acquisti, di voti in vendita, salvi dalla decadenza il
pregiudicato Berlusconi, è comprensibile e non può sorprendere.
Che
al PdL, però, si accodi anche Scelta Civica desta, invece, qualche imbarazzo.
Comunque,
alla fine, l’Aula del Senato voterà in merito alla decadenza di Berlusconi e le
relative diatribe avranno fine.
Sulla
vita politica italiana, però, permarrà l’indecenza del voto segreto.
Per
questo sarebbe necessario che il Parlamento riflettesse sul voto segreto, che manca
di rispetto ai cittadini, e provvedesse a cassare gli innumerevoli casi in
cui il regolamento della Camera (Capo X –
Art. 57) e quello del Senato (Capo XIII
– Art. 113) ne prevedono l’adozione.
Non
c’è politico che, quantomeno a parole, non invochi la trasparenza, salvo, poi, correre a nascondersi
dietro il voto segreto per rendere impossibile ai cittadini elettori di
conoscere cosa fa e come vota.
Ho il sospetto che nella classe politica la volontà di favorire la trasparenza comportamentale
sia uguale a quella di cancellare il finanziamento pubblico ai partiti, vale a
dire: inesistente!
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