Quando,
mercoledì, dopo il voto di fiducia dell’Aula del Senato, ho visto Letta ed
Alfano darsi il cinque, mi hanno ricordato quei giocatori di calcio che, anche
quando la loro squadra perde 5 a 0, si abbracciano e festeggiano se segnano il
gol della bandiera.
La
sensazione che Letta ed Alfano, ma soprattutto Letta non avesse alcun motivo
per rallegrarsi, si è andata consolidando con il trascorrere delle ore.
Infatti, nel
corso dell’ennesima avvilente giornata della politica italiana, si sono susseguiti
episodi che suggerirebbero, invece, molta prudenza nel dare per risolte le
difficoltà del governo e, di conseguenza, del Paese.
Nel
momento in cui Letta stava parlando al Senato per caldeggiare il voto
di fiducia, per esempio Renato Brunetta, alla Camera, con il solito suo modo di fare
inacidito, scandiva ai cronisti che il PdL avrebbe votata la “sfi … du …cia” al governo Letta.
Trascorreva
poco più di un’ora e, al Senato, prendeva la parola, un berlusconiano DOC, Sandro
Bondi, che, sbraitando come un indemoniato, inveiva senza controllo fino ad
urlare, a Letta ed ai ministri del PdL, dissidenti: “vergognatevi”.
Tutto
avrebbe fatto credere non solo che, tra le file del PdL, a votare la fiducia al
governo sarebbe stato unicamente il drappello dei dissidenti, ma anche che fosse
oramai insanabile la frattura tra PdL e dissidenti.
D’altra
parte, Formigoni stava già annunciando la costituzione di un nuovo gruppo parlamentare, al
Senato, mentre Cicchitto, alla Camera, ne formalizzava addirittura l’esistenza
con 12 deputati.
Sennonché,
nell’Aula del Senato è andato in scena il coup
de theatre.
Berlusconi,
dopo aver provocata, di fatto, la crisi, prima con le dimissioni di tutti i
parlamentari PdL, poi obbligando i ministri pidiellini a dimettersi, e dopo
aver dichiarato ai quattro venti che l’esperienza del governo Letta era da
considerarsi conclusa, aveva ribadito che il PdL avrebbe sfiduciato il governo.
Quasi
certamente spaventato, però, dalla possibilità di essere messo in minoranza, se
si fosse arrivati alla conta di fedelissimi e dissidenti, ma soprattutto irritato
dal pensiero di vedere sgretolata la sua leadership, Berlusconi ha presa la parola, al Senato, ed all’insaputa di tutti, con una clamorosa retromarcia ha
dichiarato che il PdL avrebbe data la fiducia al governo.
Ma
Bondi e Brunetta era informati che avrebbero dovuto votare la fiducia ?
Evidentemente
no !
Nonostante
l’eclatante inversione a U di Berlusconi, poche ore dopo, Brunetta si esibiva
comunque in un astioso intervento, alla Camera, che, pur confermando il voto di fiducia,
si trasformava in un atto di accusa a Letta ed in una vera e propria
dichiarazione di guerra.
Fatto
sta che la trappola, escogitata da Berlusconi, in poco tempo ha prodotti i suoi
effetti destabilizzanti.
Infatti,
non solo i dissidenti del PdL hanno abbandonato, in men che non si dica, il
proposito di costituire gruppi parlamentari autonomi, ma Angelino Alfano, ideatore
e protagonista del dissenso, si è affrettato a dichiarare “la frattura era inevitabile ma non ancora irreparabile”.
Per
il susseguirsi di questi fatti mi sembra che il tentativo di Enrico Letta, con
il beneplacito di Giorgio Napolitano, di “deberlusconizzare” il governo, non
abbia avuto successo.
Difatti,
ipotizzando che i dissidenti vincano il braccio di ferro e siano riammessi alla
corte di Berlusconi, con sottofondo di fanfare (= maggiore potere nella gestione del partito) e melodramma dei giullari (= Verdini, Santanchè, Bondi, Brunetta e
Capezzone fuori dai giochi), Letta si ritroverebbe, nel giro di qualche
settimana, ad essere nuovamente condizionato dai diktat berlusconiani, resi perfino
più invasivi da ministri pidiellini, raggianti per essere stati graziati e gratificati.
A
meno che …
Già,
a meno che i falchi (Verdini, Santanchè,
Bondi, Brunetta, Capezzone), ancora stizziti per lo smacco subito con il
voto di fiducia, non riescano ad aver ragione di un Berlusconi, sempre più turbato
e prostrato, ottenendo invece la cacciata dal PdL di Alfano e del gruppo di
dissidenti.
In
questa eventualità ci sarebbe un rimescolamento delle carte, la scissione dei
dissidenti, la reale “deberlusconizzazione” del governo, l’uscita di scena di un
Berlusconi sconfitto non solo più sul piano politico.
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