Non so quanta voglia
abbiano di celebrare la loro festa i milioni di donne che infoltiscono le file
dei disoccupati, dei precari, dei cassintegrati, e perché no, degli indigenti, vittime
della crisi, ma non solo.
Non so, neppure,
come possano festeggiare le migliaia e migliaia di donne violate ed umiliate,
ogni giorno, dalla brutalità degli uomini, dentro e fuori le mura domestiche.
Dal 1° gennaio ad
oggi, 8 marzo, già 18 femminicidi !
Un vero dramma nazionale.
In questo Paese,
ancora impregnato di un ottuso ed anacronistico maschilismo, sempre pronto alla
discriminazione, se fossi una donna rifiuterei l’omaggio farisaico della mimosa.
È triste, ma non
certo casuale, se il Parlamento italiano, proprio in questi giorni, dibatta perfino
se riconoscere o no, alle donne, la cosiddetta “parità di genere”.
C’è solo da sperare che
alla fine prevalga il buon senso, anche se creano sconcerto le vergognose ed
offensive parole pronunciate da Renato Brunetta.
Già, perché a detta
di questo fallocrate da comica, con la “parità
di genere” si premierebbero le donne “ubbidienti,
o peggio”.
Ora, che proprio Renato
Brunetta, servile fino al midollo, bolli come “ubbidienti” le donne, è una fregnaccia da premio oscar.
Ad assecondare,
però, queste schermaglie senza senso sulla “parità
di genere”, in realtà è una legge elettorale oscena, ed ambigue sono le modalità
con cui essa è nata e viene gestita.
Scritta di suo pugno
da Silvio Berlusconi, la legge elettorale è stata rifilata a Matteo Renzi, al
Nazareno, perché la condividesse, senza però apportare nessuna variazione, e la
imponesse alla direzione del PD.
Da diligente
soldatino Matteo Renzi ha eseguiti gli ordini e così, dopo alcuni rinvii, la
legge è arrivata alla Camera per una finta discussione, contingentata nei tempi
e preclusa ad ogni modifica perché se no … “salta
tutto”.
Tra le molte oscenità
la legge ripropone, per la elezione dei parlamentari, le liste bloccate di
candidati, nonostante la Consulta, nel bocciare il porcellum, abbia censurato il disconoscimento, agli elettori, del loro
diritto di scegliere i propri rappresentanti.
In Italia, lo si sa,
i capobastone vogliono essere liberi di scegliere servi e cortigiani di loro
gradimento, lasciando ai cittadini solo l’onere di mantenere un Parlamento di
nominati.
Siccome, però, nelle
liste bloccate il posizionamento dei candidati ne determina la probabilità di
essere eletti, più che a ragione da parte delle parlamentari, viene sollevato
il problema della “parità di genere”.
La richiesta,
legittima, è di alternare, nelle liste, i candidati dei due sessi, così da
offrire sia ai candidati uomini che alle candidate donne le stesse opportunità.
In Parlamento, ad
opporsi alla “parità di genere” sono ottusi
maschilisti che, di fatto, vorrebbero negare il principio giuridico delle pari
opportunità.
Probabilmente molti
di loro, per bieco tornaconto politico, oggi però sono nelle piazze ad offrire mimose
alle donne.
Comunque la domanda
è: si disincaglierà questo impasse lunedì, quando il Parlamento tornerà a
riunirsi ?
La risposta a questa
domanda, in tutto il Paese la possiede una sola persona che con il suo pollice,
verso od all’insù, deciderà il destino della “parità di genere”.
Napolitano ? Grasso
? Boldrini ? Renzi ? …. ?
Ma nemmeno per sogno
!
In grado di
sbloccare la situazione è solo lui, un individuo che, pur non ricoprendo alcun
ruolo istituzionale, pur essendo un pregiudicato in attesa degli arresti domiciliari,
è il solo che ancora può condizionare i lavori parlamentari.
È sconcertante, ma il
Parlamento italiano pende dalle labbra di Silvio Berlusconi per sapere se approvare,
o meno, la “parità di genere”.
Una situazione
paradossale, una umiliazione per la democrazia parlamentare !
Purtroppo, non era
difficile prevedere che, alla fine, il lavorio compiuto da Matteo Renzi per la
riesumazione di Berlusconi, si rivelasse un vergognoso capolavoro di ambiguità,
menzogne, ipocrisie, ciarlatanerie.
Il guaio vero, però, è che siamo solo agli inizi !!!
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