Ci sono giorni in
cui il sovrapporsi degli accadimenti provoca incertezza sul tema da menzionare su
questo blog.
È ciò che è
accaduto, ad esempio, nella giornata di oggi, perciò per uscire dall’imbarazzo ho
scelto di fare un collage delle due circostanze che più mi hanno fatto
riflettere.
Di buon’ora, sfogliando
il Corsera, mi sono imbattuto nella lettera aperta, firmata dal Presidente di
Confindustria, Giorgio Squinzi, pubblicata sotto il titolo: “Ridurre il cuneo fiscale delle aziende
unica strada per creare occupazione”.
Non meno
provocatorio il catenaccio: “Squinzi:
chiediamo agli italiani se vogliono un lavoro o qualche decina di euro in più”.
Il caso ha voluto
che, nel post di ieri, avessi già indicato perché sono contrario a privilegiare
le imprese nella distribuzione delle scarse risorse disponibili, visto che la
storia di questi anni ha dimostrato la inefficacia, per creare
occupazione, di tutti gli aiuti dispensati
alle aziende.
Comunque, per
verificare che non mi fosse sfuggito qualcuno degli aspetti significativi che avevano
indotto Squinzi a sostenere l’importanza di “ridurre
il cuneo fiscale delle aziende”, ho letta la sua analisi.
Ammetto, con franchezza,
di essere rimasto deluso sia dalla superficialità che dalla impalpabilità degli
argomenti addotti a sostegno della solita tiritera confindustriale.
Ora, è vero che in
Italia il costo del lavoro è spropositato, ma addebitare al costo del lavoro la
chiusura di migliaia e migliaia di aziende, è una sciocchezza.
Si tratta di una
affermazione troppo semplicistica perché, pur soffrendo dello stesso
spropositato costo del lavoro, sono migliaia le imprese, di ogni comparto, che continuano
ad essere competitive e ad aver successo sui mercati esteri, mentre a chiudere
i battenti sono, in maggioranza, aziende piccole e medie che hanno come unico
sbocco, per i loro prodotti, il mercato interno.
Quindi, riterrei più
sensato individuare la causa di molti tracolli in un mercato, quello domestico,
che da anni regredisce con un innegabile calo dei consumi, conseguenza della depauperata
capacità di spesa di milioni e milioni di italiani.
Sono sicuro che, per
il signor Squinzi, una maggiore disponibilità, ogni mese, di 80 o 100 euro non
conti nulla, ma per quei dodici milioni di italiani che guadagnano meno di
1.500 euro, 80 o 100 euro in più, in busta paga, rappresenterebbero una vera
boccata di ossigeno.
Una boccata di
ossigeno utile a rivitalizzare i consumi e, quindi, ad aiutare le imprese
tutte, anche quelle artigianali.
Non una parola,
invece, da parte di Squinzi sulle responsabilità degli imprenditori per le
scelte sbagliate, per non aver investito in innovazione, per aver spremute come
limoni le loro aziende, etc.
Mentre ero assorto
nella amena lettura della sagace dissertazione economica di Guido Squinzi continuavano
a giungere, dalla Camera, notizie senza speranza sull’iter di approvazione della
spregevole legge elettorale voluta da Berlusconi con la condiscendenza di
Matteo Renzi.
Non mi sorprenderei
se, in queste ore, ad un qualche valente scultore fosse commissionata una
statua di Matteo Renzi da collocare nel parco di Villa San Martino, ad Arcore,
come tangibile segno della gratitudine per aver disseppellito Berlusconi rimettendo,
nelle sue mani, il pallino della politica italiana.
È apparso chiaro,
fin dalle prime fasi che a condurre il gioco come mazziere fosse Berlusconi al
quale spettava, di fatto, l’ultima parola sulla approvazione o meno di ogni
emendamento.
Lo si è visto, ad
esempio, quando un voto “segreto” ha bocciato
l’emendamento sulla “parità di genere”,
nonostante l’impegno bipartisan delle parlamentari.
Il ripetuto ricorso alla
infamia del voto segreto conferma che molti parlamentari, provando vergogna per
il voto che erano obbligati ad esprimere per ordine del loro capobastone, hanno
preferito non far conoscere agli italiani la loro sudditanza all’inciucio.
La Camera licenzierà
così una legge elettorale scellerata, squalificata da coalizioni fraudolente,
da paradossali soglie di sbarramento, da liste bloccate, dalla negazione all’elettore
del diritto di eleggere i propri rappresentanti, dalla mancanza della “parità di genere”, da un abnorme premio
di maggioranza, etc.
Non so se il Senato
sarà in grado di porre rimedio a questa nefandezza.
È certo, però, che dopo non aver disertato mai, per
decenni, la cabina elettorale, considerando mio diritto-dovere civico partecipare,
per il futuro, se l’Italicum sarà confermato così come licenziato dalla Camera,
considererò mio diritto-dovere astenermi.
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