martedì 11 marzo 2014

IRPEF o IRAP … “this is the problem”

È da molti giorni, ormai, che Matteo Renzi da fiato alle trombe, in ogni dove, per annunciare urbi et orbi che mercoledì prossimo il consiglio dei ministri metterà mano ad una riduzione delle tasse.
Se non si tratterà di una delle solite bufale propagandistiche che hanno buggerati gli italiani nel ventennio berlusconiano, sarà importante comprendere con quali obiettivi e, per quale impatto concreto, i provvedimenti renziani saranno stati concepiti.
Pazientiamo ancora qualche ora e poi scopriremo se avrà primeggiato il proposito di dare una mano alle fasce più deboli del nostro Paese o se, piuttosto, saranno prevalse le pretese bislacche e voraci dell’una o dell’altra consorteria.
Molti politici, opinionisti e commentatori, infatti, atteggiandosi a premi Nobel per l’economia, si sono affaccendati in questi giorni per suggerire al governo le loro ricette, ovviamente di parte.
Ad esempio, di fronte alla ipotesi dell’alternativa tra IRPEF ed l’IRAP, molti, tra cui alcuni membri del governo, si sono schierati a favore della riduzione della tassa per le imprese, sostenendo che, solo dando loro una boccata di ossigeno, le si invoglierebbe a creare nuovi posti di lavoro.
Sarà un mio limite, ma non riesco proprio a trovare un nesso tra riduzione dell’IRAP e creazione di posti di lavoro.
Sono più propenso a credere, ad esempio, che beneficiate da uno sconto sull’IRAP molte imprese ne approfitterebbero per ridurre il loro indebitamento con le banche, oppure per ricostituire il capitale sociale dissanguato dalle perdite subite in questi anni di crisi, se non addirittura per far confluire la minore tassa in utili.
Non riesco proprio ad immaginare perché, in presenza di un mercato stagnante, o peggio in regressione, le imprese dovrebbero optare per impegnare lo sconto di IRAP in nuovi investimenti.
Ai miei tempi, ci insegnavano che le imprese, investono, di solito, e creano posti di lavoro quando il mercato “tira”, mentre disinvestono, licenziano e ricorrono alla cassa integrazione quando il mercato è in recessione.
Può sembrare una osservazione troppo banale ed antiquata, per essere presa in considerazione da politici e cattedratici, ma la storia insegna che, nelle fasi di effervescenza dei mercati, non rappresentava un problema trovare un posto di lavoro.
Oggi, invece, perfino il mercato dei beni di prima necessità continua a registrare segni recessivi.
Un recente studio dell’istituto ISME dimostra che nel 2013, rispetto al 2012, si sono verificare preoccupanti flessioni anche nei consumi dei prodotti alimentari come: pasta – 9%, olio di oliva – 6%, latte – 8%, snack – 7%, e così via.
Di fronte a questi dati mi domando, ad esempio, perché dovremmo attenderci la creazione di nuovi posti di lavoro da parte di un pastificio le cui linee di produzione stanno lavorando al di sotto delle loro capacità?
Forse, solo perché a quel pastificio il governo abbuonerebbe un po’ di IRAP ?
Se fossi l’imprenditore di quel pastificio mi auspicherei, invece, che il governo si preoccupasse di rivitalizzare il mio mercato, così, tornando a crescere i consumi di pasta, potrei utilizzare a pieno regime gli impianti di produzione, farei rientrare in fabbrica gli addetti in cassa integrazione e contando su una crescita del mio business programmerei di incrementare gli organici con nuove assunzioni.
Peraltro, da accorto imprenditore sarei consapevole che, con gli impianti che producono a scartamento ridotto, aumenta il costo per unità prodotto con conseguente riduzione dei margini.
Per questo, il vero obiettivo del governo dovrebbe essere quello di dare vitalità ai mercati, stimolando la crescita dei consumi, aiutando così le imprese a impiegare al meglio i loro impianti ed a stabilizzare i livelli occupazionali e, magari, con l’espansione dei consumi, creando nuovi posti di lavoro.
Siccome, però, le risorse economiche scarseggiano, il governo correrebbe il rischio di dilapidarle se cercasse di compiacere un po’ questo ed un po’ quello, con l’effetto di non stimolare e sviluppare sufficientemente i mercati.
Occorrerebbe, cioè, concentrare le scarse risorse disponibili sul incremento della capacità di spesa di milioni di famiglie a reddito fisso, di impiegati, operai, pensionati, che avendo risentito pesantemente della crisi hanno ridotti i loro consumi, anche dei beni di prima necessità.
Già, ma sarà capace questo governo patchwork di concentrare l’impegno su una sola scelta senza sperperare le scarse risorse tra IRPEF ed IRAP ?

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