È da molti giorni,
ormai, che Matteo Renzi da fiato alle trombe, in ogni dove, per annunciare urbi et orbi che mercoledì prossimo il
consiglio dei ministri metterà mano ad una riduzione delle tasse.
Se non si tratterà
di una delle solite bufale propagandistiche che hanno buggerati gli italiani nel
ventennio berlusconiano, sarà importante comprendere con quali obiettivi e, per
quale impatto concreto, i provvedimenti renziani saranno stati concepiti.
Pazientiamo ancora
qualche ora e poi scopriremo se avrà primeggiato il proposito di dare una mano
alle fasce più deboli del nostro Paese o se, piuttosto, saranno prevalse le pretese
bislacche e voraci dell’una o dell’altra consorteria.
Molti politici, opinionisti
e commentatori, infatti, atteggiandosi a premi Nobel per l’economia, si sono affaccendati
in questi giorni per suggerire al governo le loro ricette, ovviamente di parte.
Ad esempio, di
fronte alla ipotesi dell’alternativa tra IRPEF ed l’IRAP, molti, tra cui alcuni
membri del governo, si sono schierati a favore della riduzione della tassa per le
imprese, sostenendo che, solo dando loro una boccata di ossigeno, le si
invoglierebbe a creare nuovi posti di lavoro.
Sarà un mio limite,
ma non riesco proprio a trovare un nesso tra riduzione dell’IRAP e creazione di
posti di lavoro.
Sono più propenso a credere,
ad esempio, che beneficiate da uno sconto sull’IRAP molte imprese ne approfitterebbero
per ridurre il loro indebitamento con le banche, oppure per ricostituire il capitale
sociale dissanguato dalle perdite subite in questi anni di crisi, se non
addirittura per far confluire la minore tassa in utili.
Non riesco proprio
ad immaginare perché, in presenza di un mercato stagnante, o peggio in
regressione, le imprese dovrebbero optare per impegnare lo sconto di IRAP in nuovi
investimenti.
Ai miei tempi, ci
insegnavano che le imprese, investono, di solito, e creano posti di lavoro
quando il mercato “tira”, mentre disinvestono, licenziano e ricorrono alla
cassa integrazione quando il mercato è in recessione.
Può sembrare una osservazione
troppo banale ed antiquata, per essere presa in considerazione da politici e
cattedratici, ma la storia insegna che, nelle fasi di effervescenza dei mercati,
non rappresentava un problema trovare un posto di lavoro.
Oggi, invece, perfino
il mercato dei beni di prima necessità continua a registrare segni recessivi.
Un recente studio
dell’istituto ISME dimostra che nel 2013, rispetto al 2012, si sono verificare preoccupanti
flessioni anche nei consumi dei prodotti alimentari come: pasta – 9%, olio di
oliva – 6%, latte – 8%, snack – 7%, e così via.
Di fronte a questi
dati mi domando, ad esempio, perché dovremmo attenderci la creazione di nuovi
posti di lavoro da parte di un pastificio le cui linee di produzione stanno lavorando
al di sotto delle loro capacità?
Forse, solo perché a
quel pastificio il governo abbuonerebbe un po’ di IRAP ?
Se fossi l’imprenditore
di quel pastificio mi auspicherei, invece, che il governo si preoccupasse di
rivitalizzare il mio mercato, così, tornando a crescere i consumi di pasta, potrei
utilizzare a pieno regime gli impianti di produzione, farei rientrare in
fabbrica gli addetti in cassa integrazione e contando su una crescita del mio
business programmerei di incrementare gli organici con nuove assunzioni.
Peraltro, da accorto
imprenditore sarei consapevole che, con gli impianti che producono a
scartamento ridotto, aumenta il costo per unità prodotto con conseguente
riduzione dei margini.
Per questo, il vero obiettivo
del governo dovrebbe essere quello di dare vitalità ai mercati, stimolando la
crescita dei consumi, aiutando così le imprese a impiegare al meglio i loro
impianti ed a stabilizzare i livelli occupazionali e, magari, con l’espansione dei
consumi, creando nuovi posti di lavoro.
Siccome, però, le
risorse economiche scarseggiano, il governo correrebbe il rischio di dilapidarle
se cercasse di compiacere un po’ questo ed un po’ quello, con l’effetto di non stimolare
e sviluppare sufficientemente i mercati.
Occorrerebbe, cioè, concentrare
le scarse risorse disponibili sul incremento della capacità di spesa di milioni
di famiglie a reddito fisso, di impiegati, operai, pensionati, che avendo
risentito pesantemente della crisi hanno ridotti i loro consumi, anche dei beni
di prima necessità.
Già, ma sarà capace questo governo patchwork di
concentrare l’impegno su una sola scelta senza sperperare le scarse risorse tra
IRPEF ed IRAP ?
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