“C’è un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste,
il suo nome è Fausto Coppi”.
Con queste parole, era il
1949, il giornalista Mario Ferretti iniziava la sua radiocronaca della tappa
Cuneo-Pinerolo del Giro d’Italia.
Sono trascorsi oltre
cinquanta anni, ed oggi i riflettori sono puntati su un altro Coppi che non è un
campionissimo delle due ruote, ma uno degli ultimi autentici principi del foro.
Echeggiando le parole di Mario
Ferretti, potrei dire “C’è stato un solo
protagonista nell’aula della Suprema Corte, ha tentato di difendere l’indifendibile,
il suo nome è Franco Coppi, avvocato, giurista, professore di procedura penale”.
Autorevole, equilibrato, razionale,
sobrio nelle parole e nei modi, rispettoso del ruolo della magistratura, Franco
Coppi è stato chiamato al capezzale del processo Mediaset quando ormai i due
azzeccagarbugli, Ghedini e Longo, ne avevano combinate già di tutti i colori.
Ha ereditata una situazione
al collasso, compromessa dai troppi artifici messi in campo, da Ghedini e Longo,
per “difendersi dal processo”.
Un tatticismo difensivo
molto, troppo lontano da quello che è il pensiero di Franco Coppi, un avvocato per
il quale la missione, invece, è “difendersi nel processo”.
In tempi non sospetti, era
il 16 gennaio 2002, il professor Franco Coppi in un’intervista al Corsera
affermava: “Un avvocato non può usare
trucchi per allungare i tempi dei processi”.
E, come trucchi scorretti, indicava:
“Per esempio, inventare un impedimento
dell’avvocato o del suo cliente per ottenere un rinvio, o proporre una lista di
mille testimoni. Non si possono stravolgere gli strumenti processuali nell’interesse
del cliente”.
Probabilmente, il Corsera
non è tra le letture favorite di Ghedini e Longo, se non hanno fatto tesoro
delle parole di Coppi.
Nell’intervista, però, il
professore andava oltre: “A proposito di
tempi ed ostruzionismi, credo che se l’imputato è una persona con
responsabilità pubbliche, politico o magistrato, si dovrebbe arrivare all’accertamento
della verità processuale il più in fretta possibile. Altro che sospensione dei
processi ai politici o ripristino dell’autorizzazione a procedere! Al contrario,
bisognerebbe dare la precedenza a questi processi su tutti gli altri.”
Nella stessa intervista
Franco Coppi asseriva anche: “la
denigrazione non fa bene a nessuno. Tantomeno agli avvocati che, come diceva
Calamandrei, fanno parte dello stesso sistema di vasi comunicanti”.
Rileggendo, oggi, quelle
parole mi domando come abbia fatto il professor Coppi a sopportare la presenza,
al suo fianco, di un azzeccagarbugli, Ghedini, che come difensore di Berlusconi
ha fatto ricorso a rinvii di ogni specie, ha presentate liste smisurate di testimoni
insignificanti, ha regolarmente denigrati i giudici, ha metodicamente negata l’evidenza
dei fatti.
Pur di compiacere il suo padrone,
Ghedini, da avvocato, ha spalleggiato Berlusconi nei suoi attacchi alla
magistratura “politicizzata”, ha tuonato contro il Tribunale di Milano, ha
sostenuto con impudenza che il processo Mediaset fosse fondato sul nulla e non
presentasse uno straccio di prova.
Dal professor Coppi, invece,
in queste settimane non una parola fuori posto, non un dubbio sull’imparzialità
dei giudici, non una critica all’operato dei magistrati milanesi.
Coppi, cosciente che l’accusa
di frode fiscale non poteva essere passata attraverso due gradi di giudizio conformi
ed arrivare fino alla Suprema Corte se non fosse stata basata su elementi concreti
di prova, ha deciso che la strategia difensiva avrebbe dovuto giocare di fioretto,
lasciando in soffitta il bazooka di Ghedini che aveva prodotti guai insanabili.
E siccome di prove a
sostegno dell’accusa sicuramente ce n’erano, Franco Coppi, davanti ai giudici
con l’ermellino, nella sua arringa ha chiesto alla Corte, in via subordinata,
di derubricare l’accusa, nei confronti di Berlusconi, da “frode fiscale in false fatturazioni”.
Un estremo logico tentativo
per ottenere l’annullamento con rinvio a Milano del processo, una più rapida
prescrizione del reato, termini certamente inferiori per l’eventuale condanna.
Era l’unica ciambella di
salvataggio che Coppi poteva spendere a favore di Silvio Berlusconi e l’ha
fatto.
Purtroppo, le menti non
sempre lucide, dei parlamentari pidiellini, bacate e corrose dalla fanfaluca
della “persecuzione giudiziaria”, non vogliono, o non sanno capacitarsi che il “cittadino”
Berlusconi ha commesso un reato, quello di frode fiscale, per il quale è stato
giudicato e condannato attraverso tre gradi di giudizio.
Se in
precedenti procedimenti giudiziari il “cittadino” Berlusconi se l’è sfangata (termine da Accademia della Crusca!)
solo grazie a vergognose “leggi ad
personam”, votate da un Parlamento di sudditi, quella non era la norma, bensì
un abietto stupro della Giustizia, quella con la G maiuscola!
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