Nel romanzo “Il
giorno della civetta”, Leonardo Sciascia fa dire da uno dei protagonisti,
don Mariano: “Io ho una certa pratica del
mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità,
bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini,
gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo, ed i quaquaraquà.
Pochissimi gli uomini, i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si
fermasse ai mezz’uomini…”.
Con le parole messe in bocca a don Mariano, Sciascia sembra
riconoscere negli “uomini” l’essenza eccelsa
della dignità e della nobiltà d’animo.
Al decrescere di dignità e nobiltà d’animo gli esseri
degenererebbero nelle categorie inferiori dell’umanità, fino a ritrovarsi
spregevoli quaquaraquà che “dovrebbero vivere come le anatre nelle
pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quelle
delle anatre”.
Non so se Giorgio Napolitano abbia mai letto “Il giorno della civetta”, né saprò mai
se gli sia tornata alla mente questa classifica dell’umanità mentre redigeva la
nota sul “affaire agibilità politica”,
diffusa martedì sera.
Di certo, a me le parole di don Mariano sono riecheggiate
leggendo e rileggendo in particolare un rigo di quella nota.
Mi riferisco al passo in cui il Capo dello Stato cita: “turbamento e preoccupazione per la condanna
a una pena detentiva di una personalità che ha guidato il governo (fatto peraltro
già accaduto in un non lontano passato)”.
È stato l’enigmatico riferimento contenuto in quelle nove
parole, tra parentesi, ad intrigarmi sul loro recondito significato.
Eppure, se Napolitano, sempre equilibrato e prudente,
aveva ritenuto di doverle scrivere, mettendole in evidenza tra due parentesi,
voleva dire che, nelle sue intenzioni, c’era il chiaro proposito di richiamare
l’attenzione sul loro valore.
Ma a quale ex presidente del consiglio, condannato a pena
detentiva, “in un non lontano passato”,
il Capo dello Stato ha inteso riferirsi?
All'unanimità, commentatori ed editorialisti hanno
individuato in Arnaldo Forlani l’uomo politico che Napolitano avrebbe voluto ricordare.
È indubbio, infatti, che Forlani sia stato, nella Prima
Repubblica, uno dei più autorevoli e potenti protagonisti della scena politica
italiana.
Deputato per nove legislature, per due mandati Segretario
della Democrazia Cristiana, Ministro della Difesa, prima, e degli Esteri, poi, Presidente
del Consiglio, è stato anche candidato della DC alla Presidenza della
Repubblica.
Durante il periodo di “mani pulite”, però, Arnaldo Forlani fu accusato
di finanziamento illecito nel Processo Enimont.
A conclusione dei tre gradi di giudizio, l’ex Presidente
del Consiglio e Segretario in carica della DC fu condannato, con sentenza
definitiva, a due anni e quattro mesi di reclusione, pena commutata poi in
affidamento ai servizi sociali presso la Caritas di Roma.
Nonostante si sia sempre dichiarato innocente, e pur essendo
Segretario di un partito, la DC, che alle elezioni politiche, nel 1992, aveva
ottenuti 11.640.265 voti (di fronte ai
quali impallidiscono i sette milioni e mezzo di voti del PdL !), Forlani non
si è mai appigliato alla sua condizione di leader della maggiore formazione
politica italiana, neppure per sollecitare un provvedimento di clemenza da
parte dell’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, peraltro suo compagno
di partito.
Forlani ha accettata, con rispetto e correttezza, la
sentenza della Corte di Cassazione, e si è assoggettato all’affidamento ai
servizi sociali, con dignità e nobiltà, entrando così di diritto tra
quelli che Sciascia identificava come “uomini”.
Forse, ma potrei sbagliarmi, credo che, con quelle scarne
nove parole tra parentesi, Giorgio Napolitano abbia voluto riconoscere tacitamente,
a Forlani, un tardivo apprezzamento per la dignità e la nobiltà con cui aveva accettato il verdetto della
Magistratura.
È troppo
fantasioso pensare che Napolitano abbia voluto anche rivolgere ad un altro più recente ex
Presidente del Consiglio il velato invito a prendere esempio da Forlani ?
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