Alcuni mesi fa,
contattato da un istituto demoscopico,
alla domanda “Se ieri si fossero tenute le
elezioni politiche, Lei per quale partito avrebbe votato....?”, ho risposto “mi sarei astenuto” e, giorni dopo, ho appurato
che il 24,3% degli intervistati aveva data la stessa risposta.
In effetti, dopo venti anni di una politica irreale, orientata all’inciucio,
corruttrice e corrotta, vorace di denaro pubblico, incurante delle sofferenze
dei cittadini, non riesco a vedere a chi potrei affidare il mio voto.
Pensavo da tempo, e continuo a pensarlo, che solo una coraggiosa terapia
radicale potrebbe, forse, raschiare via dai palazzi del potere le incrostazioni
di vecchiume e fradiciume che si sono barbicate in tutti questi anni.
Una terapia, però, capace di affrontare il bubbone nel rispetto della
democrazia e della carta costituzionale.
Forse per questo, dopo che Matteo Renzi è stato investito di un ruolo
politico nazionale, ho considerata la possibilità di concedergli, pur con riserva,
una apertura di credito.
Confidavo nella sua proclamata risolutezza di rigenerare la politica, di
non lasciarsi risucchiare dalla melma dei maneggi romani, di impegnarsi da
subito a pungolare, con risolutezza, il governo Letta per farlo uscire dall’immobilismo
rinunciatario in cui si era insabbiato.
Perciò, come un naufrago che ha perso ogni speranza, ho affidato il mio
atto di fiducia ad una immaginaria bottiglia da consegnare al mare degli avvenimenti,
proponendomi di ridurne il contenuto ogniqualvolta fossi deluso dalle scelte e
dai comportamenti di Renzi.
Dopo pochi giorni, purtroppo, sono stato costretto a togliere il primo bicchiere
di fiducia dalla bottiglia.
È stato quando, appena eletto segretario del PD, ha deciso di riesumare
dal sarcofago Berlusconi per farlo risorgere come protagonista della scena
politica con la panzana delle riforme.
Ora, aldilà della corbelleria di aver riaperte le porte dei palazzi
istituzionali ad un pregiudicato, sono rimasto perplesso e deluso nel rendermi
conto che alla riesumazione erano associati patti segreti, stretti con la logica
amorale del “do ut des”.
Il primo patto “do ut des” ha
visto imporre al PD, senza scampo, la legge elettorale pretesa da Berlusconi.
Passati pochi giorni, dalla bottiglia ho dovuto togliere un altro
bicchiere di fiducia.
Era inevitabile, infatti, che dopo aver detestato i sistemi ignobili con
cui il vecchiume politico gestiva il potere, non potessi essere d'accordo con
il metodo da filibustiere con il quale Renzi aveva silurato Letta ed il suo
governo.
In quel momento mi appariva evidente che Renzi stesse attuando il
secondo patto “do ut des”, restituendo,
in cambio della sua nomina a Palazzo Chigi, peso politico a Forza Italia che si
era auto-confinata all’opposizione del governo Letta.
La sceneggiata è proseguita per giorni, con il Capo dello Stato
costretto obtorto collo a ricevere al
Quirinale Berlusconi, Matteo Renzi ha ottenuto l’agognato incarico di formare
il governo, il rituale toto-ministri, la farsa del braccio di ferro tra Renzi
ed Alfano, e via dicendo.
La bottiglia, con quel che rimaneva della mia fiducia in Renzi, era ancora
lì quando ho dovuto svuotarla di un altro bicchiere di fiducia.
È accaduto allorché, Renzi e Berlusconi hanno estromessi dalla stanza i loro
accompagnatori e si sono appartati, a quattr’occhi, per parlare di questioni top secret.
Al téte-à-téte, sono seguite
dichiarazioni dalle quali si è appreso, per bocca di Berlusconi, l’impegno ad una
opposizione morbida al nascituro governo Renzi e, da parte di Renzi, la sollecita
calendarizzazione, nel programma di governo, della riforma della giustizia, un tema
tanto caro a Berlusconi.
Stava prendendo corpo un altro dei misteriosi patti do ut des.
Anche quel residuo di fiducia che era rimasto nel fondo della bottiglia si
è dissolto definitivamente alla presentazione della compagine governativa.
Infatti, delle 16 poltrone ministeriali, del sedicente governo Renzi,
ben 9 (*) saranno occupate da riciclati del governo Letta.
A questo punto, non solo non c’è più traccia del principio di “discontinuità”, che Renzi garantiva a
destra e a manca, ma non è lecito neppure parlare di “nuovo governo”, perché, se vogliamo chiamare le cose con il loro
vero nome, si tratterebbe, tuttalpiù, di un “rimpasto
del governo Letta”.
Allora, perché il rimpasto non avrebbe potuto farlo Enrico Letta senza obbligare
il Paese a subire il casino nato con le dimissioni di un esecutivo, le consultazioni
al Quirinale, un nuovo voto di fiducia di Camera e Senato, etc. ?
Solo per soddisfare la irrefrenabile ambizione di Renzi che voleva cacciare
Letta da Palazzo Chigi per sedersi al suo posto ?
Se è questa la rivoluzione renziana, agli intervistatori continuerò a
rispondere: “mi sarei astenuto” !
(*) Alfano, Del Rio, Franceschini, Galletti, Lorenzin,
Lupi, Martina, Orlando, Pinotti
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