lunedì 3 febbraio 2014

Quando la legge non è uguale per tutti

Si è concluso, presso la Corte d’Assise di Firenze, dopo dodici ore di camera di consiglio il processo di appello per il delitto Meredith.
I due imputati, Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati a 28 e 25 anni ed i loro avvocati hanno già annunciato che ricorreranno in Cassazione.
In attesa, perciò, del terzo grado di giudizio la sentenza di Firenze non è definitiva così, mentre la Knox vive da libera cittadina negli Stati Uniti, a Sollecito è stato imposto solo il divieto di espatrio.
Poiché non so nulla né delle prove e delle deduzioni prodotte dal Procuratore della Repubblica, né delle arringhe pronunciate dal collegio difensivo, sarebbe sciocco e sconsiderato, da parte mia, commentare la sentenza.
Vorrei, invece, soffermarmi qualche istante sulle bizzarre ed incomprensibili astrusità della giustizia italiana e dei magistrati chiamati ad applicare leggi e codici.
Raffaele Sollecito, pur condannato in appello a 25 anni, in attesa del processo in Cassazione vivrà libero con il solo obbligo, come già detto, di rispettare il divieto di espatrio.
Per questo, poche ore dopo la sentenza è stato raggiunto, da solerti funzionari della Questura di Firenze, in un albergo di Venzone, cittadina friulana che la Comunità Europea ha proclamato “villaggio ideale d’Italia”, dove gli hanno ritirato il passaporto.
Ora, è pur vero che in Italia esiste il sovraffollamento delle carceri ma vorrei capire perché mai Raffaele Sollecito, colpito da una condanna in appello a 25 anni, sia libero mentre, al 31 ottobre 2013, dietro le sbarre vivevano 6.213 detenuti ancora in attesa del processo di appello e ben 4.350 in attesa del processo in Cassazione.
Sarà colpa della mia crassa ignoranza in materia ma non riesco a capacitarmi delle arcane disparità tra condannati detenuti e condannati liberi.
Ma ancor più, sempre per colpa della mia ignoranza, sono sconcertato dalla incomprensibile mancata applicazione di un'altra sentenza.
Si tratta, questa volta, di una sentenza definitiva, cioè emessa dalla Corte di Cassazione e, perciò, non più appellabile.
Orbene, nel nostro Paese c’è un pregiudicato che, sette mesi dopo la sentenza definitiva emessa dalla Cassazione, non è stato ancora sottoposto ad alcuna misura di restrizione della libertà.
Infatti, senza impedimenti e senza limiti, si muove sul territorio nazionale (non può espatriare perché a lui, come a Sollecito, è stato ritirato il passaporto) e, come se si trattasse di un cittadino integerrimo, la magistratura lo lascia libero di svolgere le sue attività, di rilasciare dichiarazioni ed interviste per denigrare giudici ed istituzioni, di diffondere videomessaggi aberranti, di tenere comizi sulle pubbliche piazze, di gozzovigliare con gli amici, e via discorrendo.
Come se tutto ciò non fosse già abbastanza perverso, ed oltremodo irriguardoso per quei cittadini che sono rispettosi di leggi e codici, compreso quello della strada, il pregiudicato in questione è seguito in ogni dove, giorno e notte, da nutrite scorte di agenti, posti anche a presidiare le sue residenze; agenti pagati, ovviamente, dai contribuenti italiani.
Ora, sarà pur vero che i legali di questo pregiudicato hanno inoltrata, alla magistratura di sorveglianza, la richiesta di affidamento, del loro assistito, in prova ai servizi sociali, ma nel frattempo perché non viene sottoposto a detenzione domiciliare ?
Evidentemente … le leggi e la giustizia non sono uguali per tutti.
Ah ! Che sbadato ! Ho dimenticato di dire che il pregiudicato a cui mi riferisco è Silvio Berlusconi.

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