Impossibile non convenire
sulle responsabilità di una classe politica che non ha saputo affrontare la
crisi, socialmente devastante, che angoscia il nostro Paese da più anni.
Sarebbe scorretto,
però, non vedere le responsabilità, altrettanto imperdonabili, dei vertici
imprenditoriali e sindacali che, prigionieri di vecchie ed ottuse contrapposizioni
ideologiche, non hanno neppure tentato di adeguarsi alla crisi nel progettare,
insieme, soluzioni in grado di alleviare, se non arginare le sofferenze che si
sono propagate nel mondo del lavoro.
Come per una
liturgia tutti noi prendiamo nota, periodicamente, delle ore di ricorso alla cassa
integrazione, del numero di disoccupati, delle percentuali di disoccupazione
giovanile.
Numeri che consentono di valutare la gravità della crisi ma non di prendere coscienza del vero dramma
vissuto da centinaia, migliaia, milioni di esseri umani che questa nefasta crisi sta penalizzando
non solo dal punto di vista economico, ma anche togliendo loro la dignità del
posto di lavoro.
Il pragmatismo mi impone di ricondurre queste riflessioni a fatti di
vita vissuta, richiamati alla mente dalla vicenda Electrolux, di cui si dibatte
in questi giorni.
Che cosa accade, di
solito, quando una impresa di produzione si trova a fronteggiare un calo degli
ordinativi ?
Impresa e sindacati
discutono, si confrontano ed arrivano, alla fine, a concordare il ricorso alla
cassa integrazione.
Per cui, ad esempio,
se la flessione degli ordinativi è quantificabile in un 20%, dopo ore ed ore di contrapposizioni, management e sindacati decidono di ricorrere alla cassa integrazione, a zero
ore, per un numero di addetti più o meno nella stessa percentuale.
Così, ad esempio, se
lo stabilimento occupa 100 lavoratori, ne saranno individuati 20 da cassaintegrare.
Perciò, un dannato
giorno, 20 persone si sveglieranno non solo penalizzate sotto il profilo economico,
ma anche private di quel posto di lavoro che li faceva sentire vivi ed utili.
Se non sono scansafatiche,
si daranno da fare per cercare un lavoro in nero ed entrare nel sottobosco
produttivo.
Ora, nel caso
ipotizzato, il ricorso alla cassa integrazione ridurrebbe, settimanalmente, per
800 ore su 5 giorni lavorativi la capacità produttiva dello stabilimento.
Semplice calcolo
matematico che fa quadrare i programmi di produzione e tranquillizza il direttore dell’unità produttiva.
Immaginiamo, invece,
che, di fronte al calo degli ordinativi, management e sindacalisti si incontrassero,
con reciproca apertura e senza remore ideologiche, per cercare, con un po’ di inventiva,
di riconsiderare i programmi di lavoro, le modalità organizzative, l'assegnazione
dei compiti, i turni, per spalmare le ipotetiche 800 ore di cassa integrazione su
tutti i 100 lavoratori ed evitare che, da un giorno all’altro, 20 di loro si
trovino a spasso e vadano ad incrementare il mercato del lavoro nero.
Come?
Ad esempio, prevedendo
di impiegare ogni dipendente per soli 4 dei 5 giorni lavorativi, oppure riducendo l’orario
giornaliero di lavoro da 8 a 6,5 ore.
Così facendo tutti i
100 lavoratori continuerebbero ad essere occupati, pur se interessati da una marginale
e non angosciante cassa integrazione.
Anche l'impresa otterrebbe vantaggi in termini di produttività e di costo per unità prodotta.
Non tutti i processi
produttivi, ovviamente, consentono interventi lineari come quelli ipotizzati.
Si tratta, però, di
soluzioni adottate in imprese sia industriali che di servizio, cioè casi reali vissuti di persona anche negli anni in cui le associazioni
imprenditoriali ed i sindacati erano barricati su posizioni massimaliste.
Sono modalità, ad esempio, che possiamo cogliere,
oggi, nel piano proposto dai vertici Electrolux.
Un piano con il quale Electrolux si propone di
superare il problema degli esuberi di personale, ricorrendo ad una cassa
integrazione “intelligente” e socialmente poco mortificante.
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