La sentenza sconcertante,
per usare un eufemismo, emessa dai giudici della seconda sezione penale della
Corte d’Appello di Milano con l’assoluzione di Berlusconi, condannato in primo
grado a 7 anni ed alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, rende soccombente ogni recriminazione contro coloro che, all’estero, considerano l’Italia
una repubblica delle banane.
Ai giudici della
Corte d’Appello, infatti, sono bastate tre udienze e poco più di tre ore di
camera di consiglio per ribaltare la sentenza che i giudici di primo
grado avevano emessa, dopo mesi di indagini, l’escussione di decine di testimoni, centinaia di
ore di dibattimento in aula.
Di fronte a questo coup de theatre del Tribunale di Milano non
si può fare a meno di sorridere apprendendo che il Presidente della Corte d’Appello,
Enrico Tranfa, si è riservati 90 giorni di tempo per rendere note le motivazioni
di una sentenza che il collegio giudicante ha deliberata in soli 180 minuti di
camera di consiglio.
Che dire, poi, delle
parole con cui Gaetano Quagliarello ha commentata la sentenza: “Quella di oggi è una sentenza storica che
dimostra come lo Stato di diritto alla fine prevalga e come non si possano
trascinare sul piano penale comportamenti personali, stili di vita, errori
politici” ?
A leggere bene
questa dichiarazione si può dedurre che, per il già ministro delle riforme e
membro della 2a. commissione Giustizia, Quagliariello, non dovrebbero essere
perseguiti penalmente i reati conseguenti a “comportamenti
personali, a stili di vita, errori politici”.
Ora, apprendere
dalla viva voce di questo bacchettone, strenuo oppositore del “fine
vita”, che non deve essere considerato reato la frequentazione di prostitute minorenni, non solo crea sconcerto,
ma suggerisce a quanti sono in carcere per il reato di prostituzione minorile
di richiedere subito la revisione dei loro processi.
D’altra parte, l’indulgente
permissivismo di Quagliariello sembra in perfetta sintonia con i principi etici
della Corte d’Appello che ha assolto Berlusconi dall’accusa di prostituzione
minorile ritenendo che “il fatto non
costituisce reato”.
In attesa delle
motivazioni di questa “sentenza storica”
sarà interessante e spassoso scoprire l’imbarazzo dei magistrati romani che, a
giorni, dovranno giudicare imputati della "Roma bene" per il reato di prostituzione minorile.
Può sembrare una
annotazione maliziosa ma va ricordato che il 1° ottobre 2012, quando il processo
Ruby era già in dibattimento in aula a Milano, il Parlamento italiano, ratificando, con la
legge 172, la Convenzione Europea di Lanzarote per la protezione dei minori, ne modificò il testo originale introducendo
il concetto di “ignoranza inevitabile
dell’età del minore”, intendendosi tale l’ignoranza non rimproverabile a
titolo di colpa.
Una modifica “ad personam” che potrebbe aver influito
sulla sentenza di assoluzione.
I giudici della Corte
d’Appello, però, hanno assolto Berlusconi anche dalla accusa di concussione
perché “il fatto non sussiste”.
In questa decisione il
moralismo non c’entra.
C’entra, invece, il
preciso proposito dei giudici di non riconoscere che nella notte del 27 maggio
2010, telefonando personalmente, e non tramite il suo segretario, al Capo di
Gabinetto della Questura di Milano per pretendere il rilascio di Ruby, che si
trovava in stato di fermo, Berlusconi abbia abusato del suo ruolo di capo
del governo per indurre il funzionario a contravvenire a procedure e norme di
legge.
Che non fosse una
semplice richiesta lo attestano sia l’esplicito avvertimento di Berlusconi che,
trattandosi della “nipote di Mubarak”,
si rischiava un incidente diplomatico, sia il fatto che la Questura rilasciò Ruby contro il parere del magistrato del tribunale minorile che aveva chiesto
di accompagnarla presso una casa famiglia.
Anche se non si
tratta, comunque, di una sentenza definitiva sempre che alla Procura non sia impedito di ricorrere in Cassazione, non
può essere sfuggito che, già solo ascoltando la castigata requisitoria del pubblico
ministero De Petris si percepiva nell’aula della Corte d’Appello un’aria conciliante da tarallucci e vino.
Come non rimanere
sbigottiti, infatti, nell’ascoltare che, per il pubblico ministero, il
meretricio è un “commercio dei genitali”,
i soggiorni ad Arcore non erano “proprio
come prendere il tè delle cinque a casa di una anziana signora”, le
prestazioni delle signorine erano “pernottamenti
ad Arcore”, la competizione tra le giovani donne per trascorrere la notte a
Villa San Martino si spiegava con la opportunità di “una maggiore
remunerazione”?
Certo è che a noi, comuni mortali, sfuggono le ragioni che possono aver indotti i giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello a sputtanare così ferocemente, con il ribaltamento della sentenza, i loro colleghi di primo grado.
Certo è che a noi, comuni mortali, sfuggono le ragioni che possono aver indotti i giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello a sputtanare così ferocemente, con il ribaltamento della sentenza, i loro colleghi di primo grado.
Infatti, il ribaltamento della sentenza ha una sola chiave di
lettura: i giudici di primo grado hanno presi fischi per fiaschi commettendo un
errore madornale.
1 commento:
E ora si ha pure da ridire sull'India
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