Finalmente !
Dalla mezzanotte di
oggi, radio, TV, e stampa non potranno più pubblicare sondaggi sulle intenzioni
di voto degli italiani !
Non so se sia soltanto
una mia sensazione ma, rispetto alle elezioni del 2008, mi sembra di aver
notata oltre ad una proliferazione dei sondaggisti, o sedicenti tali, anche un ritmo
quasi frenetico nella produzione di sondaggi.
È capitato, nel giro di
poche ore, di veder pubblicati fino a 5 sondaggi, dalle previsioni così
eterogenee da rendermi perfino scettico che si riferissero tutti allo stesso
elettorato.
Invece no ! Oggetto dei
sondaggi erano sempre le intenzioni di voto degli elettori italiani, ma a
determinarne le difformità intervenivano tre fattori fondamentali:
1. la committenza;
2. il campione;
3. la finalità.
Non mi riferisco,
evidentemente, a quei sondaggi così dilettanteschi e rabberciati da non poter essere
presi in considerazione.
Alludo, ad esempio, ad
un sito Web che, nonostante la pretesa di presentarsi addirittura come strumento
per la analisi degli scenari elettorali, si basava sulle sole intenzioni di
voto dei suoi visitatori, ricavandone trend e valutazioni bizzarre.
Intendo riferirmi,
invece, a quei 5 o 6 istituti demoscopici che, nelle loro ricerche, si
attengono a metodi di rilevazione standardizzati ed approvati.
Ma allora, se i metodi
di rilevazione adottati rispettano lo stesso standard, perché tanta eterogeneità
?
Innanzitutto, il
sondaggio ha un suo committente che può essere, di volta in volta, un movimento
politico, o un editore, o un programma radiofonico o televisivo, etc..
Siccome ogni
committente, anche se apparentemente indipendente, ha però le proprie simpatie politiche,
il sondaggista inizia il suo lavoro inconsciamente condizionato.
Figuriamoci, poi, quando
un istituto demoscopico ha rapporti di collaborazione continuativa con questo o
quel committente.
Dei 5 o 6 istituti
demoscopici considerati, sicuramente 4 sono riconducibili a questa o quella
coalizione.
Il desiderio, quindi, di non deludere od angustiare il committente può
condizionare già nella scelta e composizione del campione.
Un esempio banale.
Se la rappresentatività del campione prevede che si debbano intervistare
100 individui a Milano, o a Roma, o a Napoli, la scelta dell’area urbana, nella
quale raggiungere gli intervistati, può di per sé portare a risultati anche
molto differenti, senza che ciò comprometta la correttezza della metodologia d’indagine,
purché sia rispettata la composizione del campione, per sesso, fasce di età,
scolarità.
Per chi conosce Milano, ad esempio, se gli intervistati sono scelti all’interno
della cerchia dei navigli, si avranno buone chance di ottenere indicazioni
diverse da quelle ottenibili al Lorenteggio o alla Barona.
Il terzo fattore che influenza, poi, la presentazione dei risultati di un
sondaggio è la finalità che il committente si propone di perseguire.
Si tratta di una tecnica di presentazione dei sondaggi molto in uso anche
dalle imprese industriali e commerciali, per inorgoglire o rendere più
aggressive le strutture commerciali.
Nel caso dei sondaggi elettorali, gonfiare il dato dei propri consensi
può avere lo scopo, da un lato di attirare gli elettori indecisi e, dall’altro,
di far sentire il fiato sul collo agli avversari minandone le sicurezze.
Per contro, restringere la propria area di consensi può servire per
mettere alla frusta, candidati, strutture organizzative, agit-prop, stimolandoli
ad intensificare l’azione di propaganda.
In questo gioco finiscono per essere sempre meno attendibili i valori
attribuiti alle formazioni non di primo piano.
Perciò,
non resta che guardarsi bene dal prendere per oro colato le indicazioni dei
sondaggisti e, se proprio si ha tempo e voglia, si può provare a mediarne i valori.
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