Sono trascorsi ormai sette giorni da quando sono rimasto
orfano dell’abbeveratoio al quale mi dissetavo, ubriacandomi dei sondaggi che zampillavano
dalle diverse fonti demoscopiche.
Premetto che non confido molto nei sondaggi (essendo del mestiere conosco come il
risultato di un sondaggio possa essere predeterminato già in fase di
progettazione), ma m’interessava confrontarne e mediarne le macrotendenze,
giorno dopo giorno.
Proverò, perciò, a fare qualche riflessione di carattere
generale su quanto mi è parso di poter cogliere.
Innanzitutto, credo che la principale incognita delle
prossime elezioni sia rappresentata da 4 milioni circa di giovani, dai 18 ai 23
anni, che voteranno per la prima volta, e che rappresentano il 9% degli aventi
diritto al voto per la Camera dei Deputati.
Una fascia di elettorato importante, che potrebbe incidere
molto sugli esiti elettorali anche perché dimostra una gran voglia di votare,
tanto che è ipotizzabile per loro un astensionismo al di sotto del 10%.
E’ una fascia, però, nella quale è così diffuso il
disprezzo per la partitocrazia ed il sistema politico da legittimare la
previsione che oltre il 40% di questa fascia esprimerà un voto di protesta, a beneficio
esclusivo di M5S, SEL, Rivoluzione Civile e Fratelli d’Italia.
Per contro, basta trasferirsi nella fascia successiva, quella
degli elettori di età tra i 24 ed i 34 anni, che vale 8 milioni di voti, cioè
il 18% degli aventi diritto, per avvertire subito cambi di tendenza; infatti, le
stesse 5 formazioni politiche, prima citate, raccatterebbero meno del 30%
mentre, invece, si raddoppierebbe il peso degli indecisi e degli astensionisti.
Tra i giovani è così pressante il desiderio di un
cambiamento, non offerto dai partiti tradizionali, che oltre 1.500.000 di
elettori tra i 18 ed i 34 anni (al netto
di indecisi ed astensionisti), propenderebbe per il voto alla coalizione di
Monti.
Quindi, tra i giovani esistono anche “incazzati giudiziosi”.
Più difficile comprendere cosa attendersi, invece, dai circa
33,5 milioni di elettori oltre i 34 anni.
Un bacino elettorale al cui interno sono ravvisabili più
fattori che incideranno sui risultati elettorali:
- l’indecisione e l’astensionismo potrebbero avere un peso determinante;
- il disgusto e la freddezza, nei confronti della Casta, sembrano essere più esacerbati che non nelle fasce giovani;
- il dilagare del malaffare ha attizzati moti di esasperazione;
- il cordone ombelicale con partiti tradizionali non è più così scontato;
- i sacrifici lacrime e sangue hanno prodotte ferite difficili da cicatrizzare;
- l’incertezza sul futuro, a breve termine, condiziona il modo di giudicare;
- la ricerca del cambiamento è vissuta come se fosse l’ultima spiaggia.
Un bel mix di fattori che potrebbe determinare
un’astensione dalle urne degli elettori più disincantati, maggiore di quella
prevedibile per le fasce più giovani.
Un astensionismo che, disaggregando i risultati dei sondaggi
degli ultimi 30 giorni, sembrerebbe penalizzare soprattutto le due maggiori coalizioni,
il cui zoccolo duro di elettori è molto ridotto. D’altra parte non dovrebbe sorprendere che due movimenti nuovi,
come Scelta Civica e M5S, notevoli per impatto politico e sociale, finiranno
per provocare nell’elettorato spinte alla mobilità impensabili fino al
2008.
Una mobilità, però, che non è dettata da incoerenza
politica, ma piuttosto dal disperato bisogno di speranza.
Speranza in qualcosa di nuovo, che sbaragli per sempre il vecchio
modo di fare politica.
E sarà proprio l’appeal, esercitato da questi due
movimenti, che condizionerà il risultato delle coalizioni più forti, cagionando
alla fine una vittoria sul filo di lana, quasi certamente inferiore alle attese.
Pur con le doverose riserve sull’attendibilità dei
sondaggi, dalla loro analisi critica emerge uno scenario non rassicurante, perché
le vere difficoltà, per il nostro Paese, potrebbero iniziare proprio dal 26
febbraio.
Con i
riflettori internazionali puntati sull’Italia, il Paese dovrebbe fare i conti con
la ricerca delle condizioni per un governo duraturo, con molte settimane di impasse che paralizzerebbero il Paese, e
con il rischio di uno spread che, nel frattempo, ritornasse a livelli insopportabili per i conti pubblici.
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