Nel giro di poco più di 6 ore, dalla chiusura dei seggi
elettorali, nonostante le 3 ore di fuso orario che differenziano gli USA “coast
to coast”, gli americani hanno potuto andare a letto conoscendo il nome del Presidente,
Barack Obama, che li governerà per i prossimi 4 anni.
È quello che ci si può aspettare da una democrazia
consolidata, con regole certe e non influenzabili dai peregrini
interessi dei politici.
Purtroppo, in Italia non è così.
Tra qualche mese anche gli elettori italiani saranno
chiamati alle urne ma, a tutt’oggi, permane l’assoluta incertezza sulla legge
elettorale con la quale si voterà.
Nonostante i reiterati pressanti inviti del Capo dello
Stato, e gli impegni assunti dai Presidenti di Camera e Senato, da mesi gli
italiani attendono che il Parlamento faccia, finalmente, la sua scelta.
I continui tentennamenti, che determinano l’attuale
situazione di stallo, sono effetti della miopia cerebrale e di meschini egoismi
di bottega che pervadono trasversalmente tutti i partiti, da destra a sinistra.
Innanzitutto, si ha l’impressione che la classe
politica stia pensando non tanto ad una legge elettorale, appropriata e durevole
per la democrazia italiana, quanto piuttosto ad una legge che possa essere conveniente,
a questo o quel partito, solo per le elezioni 2013.
I pomi della discordia, infatti, sono due: le preferenze
ed il premio di maggioranza.
Alla reintroduzione delle preferenze, che ripristinerebbe il
diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, sottratto loro dal cosiddetto “porcellum” (*), si oppone l’ottusità di Bersani e di tutto il vecchiume del partito democratico.
Il perché è facilmente comprensibile !
Con nelle orecchie i richiami di Matteo Renzi alla “rottamazione”, la paura si è impossessata
di Bersani, e di molti suoi compari.
Il terrore è che, con le preferenze, gli elettori possano determinare
il rinnovamento del partito, lasciando a casa, così, molti ruderi che bivaccano
in Parlamento da 10, 20 e più anni.
Evidentemente, a Bersani & Co. non interessa rendere
più diretto ed intenso il rapporto tra elettore ed eletto.
Il secondo pomo della discordia riguarda il cosiddetto “premio di maggioranza”, già previsto dal
“porcellum”.
Con una scelta degna di un paese totalitario, infatti, vigente
Berlusconi fu legiferato che il partito, o la coalizione, che avesse ottenuti
più voti degli altri, senza alcuna soglia minima di accesso si assicurasse il
55% dei seggi alla Camera (= 340 deputati).
L’assurdità della legge, rilevata e censurata dalla
Consulta, stava e sta nel fatto che qualsiasi partito, o coalizione, che
risultasse primo, avendo ottenuto anche solo il 20/30% dei voti, potesse conquistare
alla Camera il 55% dei seggi.
Se poi, come indicano i sondaggi, tenendo conto dell’astensionismo
e delle schede bianche, i votanti effettivi, nel 2013, dovessero rappresentare
non più del 60% dell’elettorato totale, il premio di maggioranza, previsto dal “porcellum”, si rivelerebbe ancor più
una scelleratezza.
Per questo, ma soprattutto per rispettare quanto richiesto dalla
Consulta, il Parlamento dovrà necessariamente introdurre una soglia minima percentuale
di voti perché un partito, od una coalizione, possa godere del premio di
maggioranza.
Ma al PD, accreditato dai sondaggi di un 30/32%, in
coalizione con SEL, l’introduzione della soglia minima, di accesso al premio di maggioranza, non è
gradita, e per questo vorrebbe mantenere inalterato il “porcellum”,
a dispetto della sentenza della Consulta e del parere espresso dal Capo dello
Stato.
In parole povere, alla luce di quanto è già accaduto in Sicilia solo poche settimane fa, non accettando una soglia minima per l’accesso
al premio di maggioranza, Bersani & Co. vagheggerebbero di disporre del 55%
dei seggi alla Camera, con un consenso popolare effettivo del 18% !!!
Se questo è il modo di rispettare la volontà del "popolo sovrano" vuol dire che la nostra democrazia ha proprio raschiato il fondo del barile.
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(*) Legge 270 del 21
dicembre 2005, definita “una porcata” dal suo primo firmatario Calderoli, e più
tardi soprannominata “porcellum” dal politologo Giovanni Sartori.
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