Se non interverrà un
improbabile ripensamento dell’ultima ora, le formazioni politiche che porteranno
in Parlamento almeno un parlamentare, dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio, si
spartiranno una torta di denaro pubblico che vale circa 160 milioni di euro, a
titolo di “rimborsi elettorali”.
Si va dai 45,8 milioni
di euro che arrafferà il PD, ai 422 mila euro che incasserà il Centro
Democratico.
Ma la ruberia di denaro
pubblico non finisce qui !
Infatti, nel 2012 i gruppi
parlamentari, costituiti alla Camera ed al Senato, hanno ottenuti
rispettivamente ulteriori 35 e 38,5 milioni di euro, senza avere alcun obbligo
di rendicontazione.
Si tratta, cioè, di
altri 73,5 milioni di euro di pubblico denaro, che i partiti si spartiscono
come contributi “per il funzionamento dei
gruppi”, per il “personale dipendente
dai gruppi” e per il “personale di
segreteria dei gruppi”.
Ritorniamo, però, ai
cosiddetti “rimborsi elettorali” che
sono il pomo della discordia tra il M5S che, con generosità, proclama di
rinunziarvi sapendo di non averne diritto, ed i partiti tradizionali.
È risaputo che, sotto
la farisaica etichetta di “rimborsi
elettorali”, i partiti hanno fatto rientrare dalla finestra quel “finanziamento pubblico” che con il referendum
popolare del 1993 era stato cacciato fuori dalla porta.
È farisaico perché, in
italiano, la parola rimborso ha un significato chiaro: restituzione di denaro, che
è stato speso a fronte di una documentazione che ne attesti l’importo.
Il che non è mai
avvenuto per i rimborsi elettorali !
È farisaico perché,
fino all’entrata in vigore del “porcellum”,
erano i candidati, di tasca loro, a provvedere alle spese per le loro campagne
elettorali, consci di non avere alcun titolo, neppure se eletti, per ottenerne il
rimborso.
Da sempre, infatti,
sono i partiti che incassano, trattengono e gestiscono i soldi dei “rimborsi elettorali”.
Con l’entrata in vigore
del “porcellum”, invece, a causa
delle liste bloccate, nelle quali l’ordine dei candidati è stabilito dalle segreterie
dei partiti, nessun candidato ha più interesse ad investire il proprio denaro
in campagne elettorali perché, mancando il voto di preferenza, ad essere eletti
sono coloro che sono stati collocati nelle prime posizioni della liste bloccate.
Ingenuamente, a questo punto chiunque
potrebbe pensare: allora se i costi della campagna elettorale, con il porcellum, li sostiene solo il partito è
giusto che sia il partito a riceverne il rimborso.
Invece, è proprio con
il porcellum che il fariseismo dei
partiti è riuscito a toccare il culmine !
In occasione delle
ultime elezioni politiche, ad esempio, il PD ha fatto sottoscrivere, a tutti i
candidati, l’impegno a versare un “contributo
alla campagna elettorale” di 50 mila euro, per i parlamentari uscenti, e di
30 mila euro, per i nuovi candidati.
Gli importi dovranno essere
saldati entro la fine della legislatura, bontà loro anche a rate, oltre
naturalmente ad una quota mensile dei compensi percepiti come parlamentari.
Nel PdL, invece, il
contributo richiesto è stato di 25 mila euro ma da versarsi interamente e contestualmente
alla presentazione della candidatura, però solo da coloro i cui nomi fossero posti,
nelle liste bloccate, in posizioni facilmente eleggibili.
Dal PdL, per contro, non
viene richiesto di versare alle casse del partito nessuna quota mensile dei
compensi parlamentari.
La Lega, invece, non ha
richiesto nessun contributo alla campagna elettorale, ma esige da sempre il
versamento mensile al partito di una parte dei compensi parlamentari.
Non hanno richiesto
alcun contributo alla campagna elettorale anche “Lista Civica per Monti” e M5S,
che hanno lasciati liberi i candidati di investire secondo le loro possibilità.
Conclusione,
i “rimborsi elettorali” sono un’ipocrisia bella e buona, perché non hanno nulla
a che vedere con i costi delle campagne elettorali, mentre per candidarsi, nel
PD e nel PdL, è sufficiente mettere mano al portafogli !
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