Dopo aver letto il post “Anche
il Movimento 5 Stelle a volte ha ragione”, pubblicato ieri su questo blog, un lettore mi ha
inviata una garbata mail di commento, alla quale ritengo doveroso dare risposta.
Lo farò rispondendo attraverso
il blog nel dubbio che anche altri lettori, nel leggere il post, possano aver ricavata
la stessa impressione espressami dal mittente della mail.
Dunque, nella mail viene manifestata
la sensazione di aver avvertita molta dietrologia nelle parole con cui ipotizzavo
i possibili motivi per cui, alcuni partiti, avrebbero posto il veto alla
costituzione delle Commissioni Parlamentari permanenti, prima dell’insediamento
del nuovo governo.
In modo particolare si cita
il motivo, da me ipotizzato, in relazione alla possibilità che, dietro il
pretesto della necessità di identificare i membri di maggioranza e di
opposizione, si celasse in realtà l’intenzione di orientare e condizionare i
lavori delle Commissioni onde evitare che in aula fossero presentati disegni di
legge sgraditi ai partiti di governo.
Certo, lo riconosco, ho
manifestata solo una mia opinione, che non posso supportare con prove
documentabili, anche perché, se la mia congettura fosse fondata, si tratterebbe
sempre di “interferenze” sicuramente non
verbalizzate negli atti parlamentari.
La mia convinzione, però, nasce
dall’aver constatato, più volte, che nell’agenda delle Commissioni l’esame di alcuni
disegni di legge sia stato incomprensibilmente rinviato fino a scomparire del
tutto.
Citerò, come esempio, un
caso che è diventato emblematico, e del quale l’opinione pubblica è venuta a
conoscenza solo grazie a riscontri giornalistici.
Si tratta, però, di un caso
che, secondo me, sembrerebbe prolungare i suoi effetti ancora in questi giorni.
Era il 1997, a Palazzo
Chigi c’era il Governo presieduto da Romano Prodi.
Massimo D’Alema era il
Segretario dei Democratici di Sinistra, il principale partito di governo.
La sera del 17 giugno di
quell’anno, a casa di Gianni Letta erano ospiti, per una cena, Silvio
Berlusconi, Gianfranco Fini, Franco Marini e Massimo D’Alema.
Mentre assaporavano la
crostata, specialità della padrona di casa, signora Maddalena, gli ospiti conversavano
del più e del meno.
Berlusconi parlava delle
prospettive e dei piani di Mediaset, manifestando le sue preoccupazioni per il
progetto di legge 1138, in quelle settimane all’esame all’ottava Commissione.
Si trattava del disegno di
legge che prevedeva la regolamentazione delle frequenze televisive e che avrebbe
costretta Mediaset a vendere una delle sue quattro reti TV in concessione, con
la conseguenza che il valore aziendale sarebbe diminuito proprio mentre si
accingeva a quotarsi in Borsa.
Per caso, a presiedere l’ottava
Commissione c’era un fedelissimo di D’Alema, Claudio Petruccioli.
Fatto sta che, dopo pochi
giorni, dal calendario dei lavori della ottava Commissione Parlamentare scomparve
il disegno di legge 1138, che non fu più posto all’ordine del giorno per l’intera
XIII legislatura.
Francesco Cossiga, con la
sua ironia, battezzò come inciucio quanto avvenne, in quella serata, tra D’Alema
e Berlusconi.
Un inciucio, da allora noto
come il “patto della crostata”, ma
del quale non si è mai saputo quale fosse la contropartita offerta a D’Alema da
Berlusconi.
Un caso esemplare che conferma
come i lavori delle Commissioni Parlamentari possano essere condizionati da
input che provengano dai governi e dai partiti che sostengono i governi, spesso
a dispetto degli interessi del Paese ma a favore di tornaconti particolari.
È dietrologia domandarsi se
sia solo un caso che, in questi giorni, Berlusconi abbia espresso parere
favorevole all’eventuale elezione di D’Alema alla Presidenza della Repubblica ?
D’Alema, infatti, per il
PdL sarebbe un candidato considerato “non
ostile a Berlusconi”, o come io preferisco dire “benevolo”.
È sempre
dietrologia supporre che l’eventuale ascesa di D’Alema al Quirinale possa
essere la ricompensa per il “patto della
crostata” ed il presupposto per nuovi inciuci ?
Nessun commento:
Posta un commento