Ritengo di avere almeno
cinque buoni motivi per non condividere gli insistenti appelli che Giorgio
Napolitano rivolge, alle forze politiche, invitandole a promuovere un governo
di larghe intese, o se si preferisce di grande coalizione.
Il primo motivo, secondo
me, è che tra la concezione della politica del PdL e quella del PD, esistono
differenze così sostanziali, oltre che sul piano politico, anche sotto il
profilo morale e sociale, da rendere precario, se non addirittura improponibile,
un accordo di governo.
Il secondo motivo è che, l’esperienza
del governo di larghe intese, appena vissuta con l’esecutivo guidato da Mario Monti,
deve essere considerata deludente anche, ma soprattutto, per le resistenze ed i
veti ora dell’uno, ora dell’altro, ad ogni provvedimento che toccasse corporativismi,
posizioni acquisite, privilegi, etc.
Il terzo motivo è che la
drammatica congiuntura, in cui si dibatte il Paese, necessita interventi radicali
per un profondo cambiamento sociale, etico ed economico del Paese, al quale
sarebbe deleterio dover rinunciare pur di mettere insieme diavolo ed acqua
santa.
Il quarto motivo è che,
dopo aver scaricato sul Governo Monti la responsabilità di tirar fuori il Paese
dai guai, PdL e PD non sono riusciti, in 15 mesi, a trovare neppure l’accordo
su una legge elettorale o sulla riduzione del numero dei parlamentari, o sull’abolizione
dei rimborsi elettorali. Perché mai, dovrebbero riuscire, oggi, a governare
insieme situazioni ben più complesse e gravi ?
Il quinto motivo, ultimo
non certo per rilevanza, è che il Presidente della Repubblica, quando rievoca il
caso del “governo della non-sfiducia”, presieduto da Giulio Andreotti, nel
1976, dimentica, ahimè, che allora, seduti al tavolo a giocare la partita, c’erano
politici della levatura intellettuale e politica di Aldo Moro, Enrico
Berlinguer e Giulio Andreotti. Possibile che una persona saggia, come il
Presidente Napolitano, non tenga conto che oggi, a sedersi al tavolo, sarebbero,
invece, politici come Berlusconi e Bersani?
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