Non occorreva di certo attendere
sabato 20 aprile 2013 per scoprire che il sistema politico italiano viva in uno
stato comatoso.
Così come è sotto gli occhi di
tutti che la crisi del sistema politico incida pesantemente sul quotidiano e
sul futuro degli italiani.
Una crisi nella quale
sguazzano, da anni, gli interessi personali di pochi che primeggiano a scapito
della collettività.
L’occasione dell’elezione
del Capo dello Stato non ha fatto altro che portare alla luce i molti mali di
un sistema partitico in disfacimento.
In questi tre giorni abbiamo
assistito ad uno spettacolo sconcertante, miopia delle scelte, ambiguità ideologica,
incapacità di comunicare tra le forze politiche, svilimento delle istituzioni
ma soprattutto disprezzo della Carta Costituzionale.
Tutti i protagonisti di
queste difficili giornate sono usciti perdenti da una prova che ha umiliata la
democrazia parlamentare.
A cominciare da Bersani, responsabile
di aver fatto perdere 50 giorni al Paese, inseguendo il suo sogno del premierato.
Occorreva proprio la disfatta
perché Bersani si rendesse conto di essere a capo non di un partito ma di una babele
di tribù ?
Era prevedibile che il PD si
andasse a schiantare alla prima prova in aula, mettendo a nudo contraddizioni e
conflittualità interne che lo tormentano da anni.
Di errori, Bersani ne va
collezionando a iosa, da mesi.
Dapprima ha rincorsi i voti
del M5S, con la pretesa di ottenerli a titolo gratuito, cioè senza offrire, in
cambio, un coinvolgimento nel probabile governo, poi condividendo, con
Berlusconi, la candidatura di Marini, pur sapendo che alcune tribù del PD non
lo avrebbero votato, tentando, infine, con una inversione ad U, di giocare la
carta Prodi, inviso però non solo al PdL ma anche ad alcune componenti del PD.
Alla fine, quando ormai il
PD era piombato in una crisi dalla quale, difficilmente, potrà uscire senza profonde
ferite, Bersani si è arreso, capitolando penosamente con le dimissioni e trascinando
con sé la presidente Rosy Bindi e tutta la segreteria.
Solo allora ha deciso di correre da Napolitano
per chiedere aiuto.
Ma, da questi tre giorni di
votazioni presidenziali a uscirne sconfitto, sul piano personale, è stato anche
Berlusconi.
Sarà pur vero che è
riuscito a non far eleggere il detestato Prodi, dal quale è stato battuto due
volte alle elezioni politiche, ma, in cambio, è stato costretto a salire, con
il cappello in mano, al Colle per implorare anche lui Giorgio Napolitano.
Mentre s’inchinava a
Giorgio Napolitano, pregandolo di accettare un nuovo mandato, a Berlusconi sarà
venuto in mente di trovarsi di fronte alla stessa persona che lui, più volte, aveva
definito “comunista” e di essere solo
un “Capo dello Stato espressione della
vecchia maggioranza di sinistra” ?
Ugualmente, ad uscire male è
stato anche il M5S che, con la scelta di trincerarsi dietro alla candidatura di
Rodotà, sicuramente soccombente, ha reso inutile ed irrilevante, ancora una
volta, il voto di milioni di elettori.
Il fatto è che, con il
passare dei giorni, il progetto di M5S risulta sempre più impercettibile ed indecifrabile.
La tanto decantata
trasparenza è rimasta una chimera, sono ancora oscuri e misteriosi i numeri della
partecipazione alle “quirinarie”, il
ricorso alla consultazione popolare tramite il web fino ad oggi si è rivelato
solo un miraggio, lo slogan “uno vale uno”
è stato sostituito, di fatto, da “Grillo vale
tutti”.
Dal momento che oggi pomeriggio Napolitano presterà giuramento e annuncerà come intenda procedere, mi domando: come reagirebbe se, ora che Bersani è fuori gioco, il M5S dichiarasse la disponibilità a formare un governo con PD e SEL ?
Dal momento che oggi pomeriggio Napolitano presterà giuramento e annuncerà come intenda procedere, mi domando: come reagirebbe se, ora che Bersani è fuori gioco, il M5S dichiarasse la disponibilità a formare un governo con PD e SEL ?
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