Non so se Massimiliano Allegri rimarrà sulla panchina del Milan anche per il prossimo campionato.
Quasi certamente, come sostengono gli addetti ai lavori, sarà esonerato sebbene, nel girone di ritorno, abbia realizzati più punti perfino della Juventus, e nonostante abbia ottenuto l’accesso del Milan alla Champions League.
Purtroppo, Allegri si è macchiato di una colpa gravissima, quella di lesa maestà per essersi rifiutato, troppe volte, di schierare in campo la formazione che Berlusconi gli aveva dettata, ruolo per ruolo.
Così, contro la volontà sia del vicepresidente del A.C. Milan, Adriano Galliani, sia delle migliaia di supporter rossoneri, Allegri dovrà fare le valige perché Berlusconi ha deciso di esonerarlo.
Eppure Allegri lo sapeva che Berlusconi vive con l’assioma di essere “il migliore” in ogni branca dello scibile, e quindi è convinto anche di essere il più grande degli allenatori.
Usciamo dal campo di calcio ed entriamo nella scena politica dove, a fare le spese dell’assunto berlusconiano, “io sono il migliore”, sono stati gli incauti parlamentari PdL che hanno osato insistere sulle primarie per la scelta del candidato premier, primarie non gradite a Berlusconi che le considera del tutto inutili perché lui, e solo lui, è in grado di decidere chi possa essere un candidato premier.
Alla fine, Giorgia Meloni, Guido Crosetto ed Ignazio La Russa, hanno dovuto lasciare il PdL e dar vita ad una nuova formazione politica, Fratelli d’Italia.
Allegri, Meloni, Crosetto, La Russa, sono solo le ultime vittime, mietute dalla supponenza di Silvio Berlusconi di essere “il migliore” sempre e comunque.
Per questo, come si fa a non sorridere quando Berlusconi ed i suoi zerbini bollano come “surreali le motivazioni della sentenza” formulate dal Tribunale di Milano.
Mi domando, infatti, se sia credibile che il personaggio Berlusconi, accentratore fino al punto di indicare le formazioni di calcio ad un allenatore, o di impedire la scelta democratica del premier, si sia disinteressato ed abbia rinunciato ad imporre la sua volontà in un business nel quale erano in ballo milioni e milioni di euro per la acquisizione dei diritti televisivi Mediaset.
Sostenere, come fanno i giornali e le TV “della casa”, che Mediaset fosse gestita in autonomia da manager, è un’ipocrisia oscena, perché anche il Milan sarebbe affidato ad un manager ipoteticamente autonomo, Galliani, ed a guidare il PdL dovrebbe essere il segretario Alfano, anche lui in teoria autonomo.
I fatti, invece, dimostrano che anche le decisioni più ordinarie passano tutte e sempre per le mani di Berlusconi.
"Caput imperare, no pedes”, a comandare è la testa non i piedi, dicevano gli antichi latini e, per Berlusconi, che s’incensa di essere “il migliore”, è indizio di codardia ogni tentativo di scaricare sugli altri i propri errori e di riservare per sé solo i successi.
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E' impossibile che qualcuno abbia potuto sorprendersi, venerdì sera, quando, non appena diramato il comunicato stampa con l’annuncio del possibile DDL per la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, Berlusconi & Co. se ne sono attribuiti il merito, sbandierandolo come un altro loro successo?
È stato lo stesso vicepremier Angelo Alfano a confidare a Twitter la sua soddisfazione: “era nei nostri programmi. Impegno mantenuto”.
Eppure, in realtà, a voler abolire il finanziamento pubblico erano stati, per primi, Beppe Grillo e Matteo Renzi, che con il PdL non hanno proprio nulla da spartire.
Il fatto è che, mentendo sapendo di mentire, gli esponenti del PdL non perdono occasione per millantare successi a gogò, con il palese scopo di sconcertare ed innervosire gli elettori del PD, già sgomenti per ciò che accade nel loro partito.
Riprendiamo, però, il filo del comunicato stampa dell’Esecutivo, per notare che un annuncio fatto a poche ore dall’apertura dei seggi per le elezioni amministrative in 500 comuni, tra cui Roma, ha il lezzo imbarazzante di propaganda elettorale.
Difatti, i termini del proclama sono così vaghi e confusi da arrivare perfino ad indicare che il governo intenda cancellare il “finanziamento pubblico” che non esiste più dal 1993, perché furbamente sostituito dai “rimborsi elettorali” con la legge 515 del 10 dicembre 1993.
Tuttavia, ammesso che si sia trattato solo di un lapsus, almeno spero, di chi ha frettolosamente compilato il comunicato, non si accenna nulla, invece, della fine che farebbe il finanziamento pubblico ai giornali di partito che supera ogni anno i 30 milioni di euro.
A lasciare perplessi, però, oltre ai dubbi sui contenuti del provvedimento, è anche la scelta del Governo di predisporre un disegno di legge che seguirà l'iter dell’esame ed approvazione da parte del Parlamento.
Se anche questo DDL dovesse fare la stessa fine del DDL sull’abolizione delle Province, emanato dal Governo Monti ed affossato dal Parlamento, dovremmo mandare giù un’altra presa in giro.
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