È vero che quelle che si sono svolte nello scorso week end erano elezioni amministrative.
È altrettanto vero che sono stati chiamati alle urne solo sette milioni di elettori, cioè il 14% dell’intero corpo elettorale.
Così com’è vero che, nel voto amministrativo, più che dall’orientamento politico dell’elettorato, i risultati sono condizionati sia dall’appeal dei candidati in lizza che dal presidio del bacino elettorale, esercitato dalle diverse formazioni politiche.
Infine, non va sottovalutato che, spesso, l’elettore intenda manifestare, con il voto, un giudizio di consenso o di riprovazione nei confronti dell’amministrazione precedente.
Per questo insieme di considerazioni, non condivido i tentativi di attribuire al voto amministrativo una valenza nazionale.
Pur tuttavia, alcuni aspetti di questa tornata elettorale propongono spunti per qualche riflessione.
Ad iniziare dall’affluenza alle urne, che è risultata mediamente inferiore di quasi il 15% rispetto alle precedenti consultazioni amministrative, con percentuali di caduta che hanno sfiorato, o addirittura superato il 20%, ad esempio, a Roma, Sondrio, Brescia, Pisa.
Qualora qualcuno non lo avesse ancora compreso, questi dati non fanno che confermare la crescente indifferenza dell’elettorato per la politica, e l’insofferenza provocata dai diffusi casi d’immoralità della classe politica, di ogni colore.
In Valle d’Aosta, dove si votava per il rinnovo del Consiglio Regionale, l’affluenza, invece, è risultata in linea con quella delle precedenti elezioni, ed il responso delle urne ha lasciato fuori dall’aula consiliare, per la prima volta, il PdL che ha ottenuto solo il 4,1% dei consensi, con immediate dimissioni del segretario regionale.
Focalizzando l’attenzione, invece, sui 16 Comuni capoluogo, nei quali si è votato, a spoglio non ancora ultimato è prevedibile che, con le sole eccezioni di Massa, Pisa, Sondrio e Vicenza, dove a prevalere già al primo turno dovrebbero essere i candidati sindaco del centrosinistra, negli altri Comuni, tra quindici giorni, si dovrà ricorrere al ballottaggio.
Un ballottaggio che vedrà in lizza solo candidati del centrosinistra e del centrodestra.
Infatti, in tutti i 16 Comuni capoluogo, il M5S ha fatto registrare vistosi ripiegamenti rispetto ai voti ottenuti, solo 3 mesi fa, alle elezioni politiche, forse a conferma di quanto, nelle consultazioni amministrative, siano predominanti sul voto di opinione altri fattori, come l’appeal dei candidati e la presenza organizzata sul territorio.
Peraltro, però, analizzando congiuntamente, per ogni Comune, i dati di affluenza ed i voti ottenuti dal M5S, si ricava la sensazione che tra loro ci possa essere una qualche correlazione.
Si potrebbe ipotizzare, perfino, che parte degli elettori del M5S alle politiche, delusi dall’azione dei grillini in questi tre mesi di attività parlamentare, abbiano preferito astenersi piuttosto che attribuire il loro voto ad altre liste.
Anche questa ipotesi, comunque, non sarebbe sufficiente ad interpretare il notevole gap tra il consenso che, ancora in questi giorni, tutti i sondaggisti accreditano al M5S ed i risultati usciti ieri dalle urne.
Per questo un’altra chiave di lettura potrebbe suggerire di prendere atto che i candidati del M5S, selezionati dai militanti ma ininfluenti a livello locale, non disponessero di un appeal tale da poter competere con i candidati presentati sia dal centrosinistra che dal centrodestra.
Infine, sempre a proposito delle candidature, ritengo non sia insignificante rilevare che il centrosinistra prevalga sul centrodestra, in tutti i 16 Comuni capoluogo, con candidati che, non appartenendo alla nomenklatura, rappresentino un segno di cambiamento.
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