Così finalmente gli elettori italiani scoprono che, dal 2005, cioè da 8 anni e per ben tre tornate elettorali hanno manifestato il loro voto, in base ad una legge che la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha deciso di rinviare alla Consulta perché ne valuti la legittimità costituzionale.
Tutti noi, quindi, siamo stati coinvolti, inconsapevoli complici, in una situazione antitetica alla Carta Costituzionale.
D’altra parte, non c’è proprio nulla di cui sorprendersi se, già poche ore dopo l’approvazione della legge da parte del centrodestra, lo stesso genio che l’aveva partorita, il leghista Roberto Calderoli, con impudenza la bollava “una porcata”.
Quali sono, però, gli elementi dell’ormai famigerato “porcellum”, nei quali la Corte di Cassazione ha colti indizi d’incostituzionalità?
Innanzitutto, nel premio di maggioranza, per la Camera, che assegna il 55% dei seggi alla coalizione che è risultata prima, senza tenere in alcun conto il valore percentuale dei voti ottenuti.
Non solo, ma se la coalizione si disgregasse, anche subito dopo le elezioni, verrebbe compromesso l’obiettivo di governabilità che è nelle logiche del premio di maggioranza, pur avendo goduto del premio le diverse componenti la coalizione.
(In realtà è quello che si verifica in questi giorni con SEL, che ha tratto profitto dal premio di maggioranza, in numero di seggi, ma si è dissociata dal PD nel sostegno al governo Letta. Lo stesso si è verificato, per contro, anche nella coalizione di centrodestra, dove Lega e FIL, a differenza del PdL, non sostengono il governo).
Il secondo aspetto critico, sotto il profilo costituzionale, è rappresentato dal premio di maggioranza assegnato, per il Senato, su base regionale.
Infatti, si sarebbe in presenza di un principio discriminante, che assegna, di fatto, un peso disuguale, nella formazione del Senato, al voto degli elettori che votano nelle diverse 22 Regioni italiane.
Inoltre, entrambi i premi di maggioranza concedono, alla coalizione beneficiaria, l’occasione per poter eleggere, con autosufficienza, gli organi di garanzia, la cui durata va oltre quella della legislatura, provocando, in questo caso, la possibile alterazione degli equilibri istituzionali.
La terza costituente del “porcellum”, che la Cassazione ha ritenuto incostituzionale, è rappresentata dalle cosiddette “liste bloccate” che sottraggono agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.
A questo punto il pallino passa alla Corte Costituzionale che dovrà valutare i dubbi di legittimità costituzionale, rilevati dalla Cassazione, e pronunciarsi in merito.
Quando? Presumibilmente tra sei o sette mesi.
La notizia non ha sorpresa la classe politica che da 8 anni ha la coscienza sporca, mantenendo in vita, per interessi di bottega, una autentica “porcata”, senza curarsi dei reiterati inviti del Capo dello Stato a riformare la legge elettorale.
Che cosa potrà succedere ora?
Il ministro Quagliarello si auspica che, a questo punto, la politica eviti di “cincischiare” ancora e si dia una mossa per riformare la legge elettorale prima che lo imponga la Consulta.
Uno schizzato Brunetta, preoccupato per la sua cacciata dagli agi parlamentari, esprime una sola certezza: no al ritorno del voto di preferenza.
Mentre, per quanto riguarda una nuova legge elettorale, Brunetta la condiziona all’attuazione dell’intero pacchetto di riforme, costituzionali ed istituzionali, ubbidendo così alle istruzioni dilatorie, ricevute da Berlusconi, per l’esecuzione del “piano B” (= voto ad ottobre).
Dal canto suo il PD, per voce di Anna Finocchiaro, conferma la volontà di ritornare al “mattarellum”, sapendo che, insistere su questa linea significherà rimettere in atto, con il PdL, quel braccio di ferro che ha già impedito di trovare una soluzione negli ultimi 18 mesi.
Bisognerà rassegnarsi: finiremo per ritornare a votare con il “porcellum”!
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