A larga maggioranza, secondo alcuni sondaggi, gli Italiani preferirebbero che il Governo Letta evitasse l’aumento dell’IVA piuttosto che sospendere il pagamento della rata IMU.
Difatti, di fronte all’alternativa, il 76% degli intervistati si è espresso per il non aumento dell’IVA.
Una preferenza che, di sicuro, non piacerebbe al ciclopico “puffo economicus”, il Renatone pidiellino, al quale non interessa assolutamente nulla di ciò che vorrebbero i cittadini.
A dire il vero non gliene frega nulla neppure delle finanze italiane.
Infatti, non appena la Commissione Europea ha confermata la chiusura della “procedura d’infrazione” contro l’Italia, il “puffo economicus” si è messo a salterellare come un folletto strillando “ora possiamo spendere e spandere senza freni”.
In quattro e quattr’otto, ha preparata, senza esitazione, la sua lista delle spese da sottoporre ad Enrico Letta: cancellazione dell’IMU, restituzione dell’IMU 2012, tagli all’IRPEF, riduzione del cuneo fiscale, defiscalizzazione del lavoro giovanile, etc.
Insomma, una lista della spesa da miliardi e miliardi di euro!
Ma la “coperta è corta”, continuano a ripetere Letta e Saccomanni, per cui bisogna procedere con i piedi di piombo, utilizzando al meglio i pochi spiccioli disponibili, per affrontare le prime vere emergenze del Paese.
Una idea, quello di dover fare i conti con la “coperta corta”, indigesta al “puffo economicus”, già ministro di quel 4° Governo Berlusconi che, scialacquando il denaro pubblico, aveva obbligata l’Europa, nel 2009, ad aprire quella “procedura d’infrazione”, appena chiusa dai sacrifici lacrime e sangue degli italiani.
Auguriamoci che, questa volta, Enrico Letta faccia orecchie da mercante alle richieste del “puffo economicus” e del suo compare, il “puffo maximus”, anche se, per dire il vero, in queste prime settimane di governo, Letta sia apparso anche troppo condiscendente alle richieste “dettate” dai due puffi.
Il rischio è che, se l’Italia questa volta non osservasse gli impegni presi sul controllo dei conti pubblici, non incorrerebbe in un’altra “procedura d’infrazione” ma probabilmente nel commissariamento, ed allora … sarebbero guai seri per tutti gli italiani.
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È proprio di una mente dispotica essere certo della propria infallibilità, alla quale accompagna due assiomi: “chi non è con me è contro di me” e “quando mancasse il consenso, c’è la forza”.
Modi di pensare che caratterizzano il bagaglio culturale dei despoti, in ogni latitudine ed in ogni ambito della vita.
Naturalmente, il contesto, in cui il despota agisce, può favorire variazioni sul tema.
Così, ad esempio, il ricorso alla “forza” può prevedere l’assassinio dell’avversario o anche solo la diffamazione, il dileggio, l’offesa.
La storia recente dell’Italia offre esempi delle diverse modalità con cui il dispotismo si sia manifestato.
Si va, ad esempio, dalla fucilazione alla schiena del genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, voluta (o non impedita) dal Duce, l’11 gennaio 1944, all’epiteto “coglione”, non mortale ma certo dispregiativo, che Berlusconi rivolse a chi avrebbe votato i partiti della sinistra, il 6 aprile 2006.
I segni caratteristici del dispotismo possiamo riconoscerli in Beppe Grillo, sempre più malato di delirio d’infallibilità.
Convinto di essere lui il detentore della verità assoluta, non accetta nessuna forma di dissenso e di critica.
Chi non si sottomette ai suoi comandamenti è contro di lui e, quindi, merita di essere diffamato, dileggiato, offeso.
Poco importa se, pochi giorni o poche ore prima, sia stato lo stesso Beppe Grillo a magnificare i pregi di una persona, perché anche una sola parola non gradita al comico despota, la farebbe precipitare dall’altare nella polvere.
È quello che è accaduto perfino al candidato del M5S al Colle, Stefano Rodotà, perché si è permesso di non essere d'accordo, dopo il voto amministrativo, con il sommo Grillo che aveva vituperati gli elettori di PD e PdL perché avevano osato recarsi alle urne e non votare M5S.
Fautore della logica mussoliniana: “il numero è contrario alla ragione”, Grillo non accetterà mai il responso delle urne se il M5S non otterrà il 100% dei voti.
Rodotà, perciò, non è il primo, e certamente non sarà l’ultimo contro il quale si avventerà, con il suo turpiloquio, Grillo.
Tra i più allarmanti e deprecabili fenomeni, però, che il despotismo produce, c’è senza dubbio il contagio dei seguaci.
I proseliti si trasformano in automi, smarriscono l’indipendenza intellettiva e l’attitudine critica, arrivano perfino a caldeggiare, inconsciamente, tesi contrarie ai loro stessi principi ed interessi, a poco a poco diventano marionette nelle mani del despota, del quale hanno timore reverenziale.
Così i grillini sono passati dal manifestare con i cartelli “per Rodotà Presidente”, ad inveire contro Rodotà perché così ha voluto Grillo.
A pensarci bene, mi fanno perfino pena!
Hanno immolata, sull’ara votiva, la loro personalità affidandola agli artigli di Beppe Grillo e Casaleggio.
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