Le
ragioni, per le quali non ho mai votato per Berlusconi, sia nella versione “Forza Italia”, che nella variante “Popolo della Libertà”, sono talmente numerose
che, se tentassi di catalogarle in ordine alfabetico, ne verrebbe fuori una
curiosa enciclopedia.
Un
argomento sul quale, però, per quanti sforzi io abbia fatti, non sono mai
riuscito a capire se Berlusconi “c’è o ci
fa”, è il tema della giustizia.
A
volte, ho persino pensato che la colpa fosse del codazzo di avvocati che lo segue
in ogni dove, giorno e notte.
Mi
sono chiesto, ad esempio, se sia possibile che principi del foro, lautamente
remunerati, non siano riusciti a far capire a Berlusconi quale sia la
differenza tra “reato prescritto” ed “assoluzione per non aver
commesso il fatto”.
Siccome,
però, negli anni, ahinoi lunghissimi, in cui è stato al governo, si è dato un
gran da fare per emanare provvedimenti che riducessero i termini di
prescrizione dei molti reati, dei quali erano imputati sia lui che i suoi sodali,
alla fine mi sono persuaso che sicuramente Berlusconi, nonostante tutto, non “c’è” ma “ci fa”.
Ma,
che Berlusconi versi in un permanente stato confusionale, perlomeno sul tema
della giustizia, se ne è avuta conferma ancora in queste ultime ore.
Infatti,
commentando la nota vicenda, che ha come protagonista Alessandro Sallusti, il
Cavaliere l’ha definita “una pagina di
giustizia negata”.
E
qui mi è sorto il dubbio, inevitabile, che lo stato confusionale si sia esteso
anche alla conoscenza della lingua italiana.
Dopo
una febbrile consultazione di vocabolari, testi vari di letteratura e di
trattazioni pandettistiche, ho avuta la conferma che “negare giustizia” significa non
soddisfare l’istanza di giustizia che appartiene esclusivamente alla vittima di
un reato.
Ora,
Alessandro Sallusti, checché ne pensi Berlusconi, nei tre gradi di giudizio è
stato riconosciuto colpevole e non vittima di un reato.
Vale
a dire, se io diffamassi una persona, commetterei un reato, e sarebbe
inevitabile che io subissi la condanna della pena prevista dal codice penale;
qualora, invece, non fossi condannato la “giustizia
sarebbe negata” alla persona da me diffamata.
Possibile,
perciò, che la differenza, tra essere “autore
di un reato” ed essere “vittima di un
reato”, non sia stata ancora ben compresa da quel signore di Arcore settantasettenne,
tuttavia ancora considerato capace di intendere e di volere ?
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